Precari – PA risarcimenti automatici per contratti a termine illegittimi

Antonella

Per i precari della PA la Corte Suprema, ha stabilito rimborsi automatici sui contratti a termine illegittimi.
A decretare l’automatismo dei risarcimenti é la recente sentenza n. 5072 del 2016, depositata il 15.3.2016 dalle Sezioni Unite Civili: una sentenza destinata ad aprire nuove voragini nei già disidratati conti pubblici Italiani.
La Cassazione ha infatti sancito che il dipendente pubblico, al quale siano stati riconosciuti contratti a tempo determinato per un totale di almeno 36 mesi, ha diritto al risarcimento, e si calcola che siano 80 mila i precari della PA potenzialmente titolati a far causa allo Stato e destinati ad una vittoria sicura, foriera di ingenti esborsi per il ministero del Tesoro a favore del lavoratore precario del pubblico impiego, a prescindere dalla dimostrazione concreta del danno.
Il risarcimento è predeterminato e onnicomprensivo. Il suo quantum  può oscillare da un minimo di 2,5 a un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, modulando l’indennizzo effettivo sulla base dell’anzianità di servizio, del comportamento delle parti, delle condizioni concrete del caso, della dimensione dell’organizzazione coinvolta e di ogni  altro criterio e parametro fissato dalle regole sul rapporto di lavoro.
Sui tavoli delle Sezioni unite Civili della Cassazione si risolve così, la spinosa questione delle tutele contro l’abuso del precariato storico e dei contratti a termine nel pubblico impiego, nelle ipotesi di sforamento della durata massima o del numero massimo delle proroghe, ponendo un freno ed una regolamentazione all’utilizzo di forme contrattuali “flessibili” e in tutti i casi di utilizzo abnorme dell’apposizione del termine al contratto di lavoro.
Il criterio di liquidazione del danno forfetario ed onnicomprensivo stabilito dalla Corte può considerarsi una sorta di “penale Comunitaria” a carico del datore di lavoro, dovuta ex lege e rispondente agli appelli della Corte di Giustizia Europea di adozione da parte dello Stato Italiano di misure energiche che possano dissuadere dal ricorso spropositato al lavoro flessibile.

Un riconoscimento economico che, peraltro, non ha neppure bisogno di essere provato in Tribunale attraverso documenti o testimonianze : il lavoratore è infatti esonerato dalla prova del danno in quanto è sufficiente dimostrare che il rapporto di lavoro è durato oltre tre anni, con la conseguenza dello scatto automatico della sanzione.
La Suprema Corte, con la sentenza in disamina ha dunque, supplendo a quel deficit di tutela rispetto al  lavoratore privato, ricondotto ad equità le posizioni di precariato nel pubblico impiego rispetto alla disciplina privatistica, mediante trasposizione della disciplina sugli indennizzi relativamente al lavoro privato anche all’impiego pubblico, lasciando però in vigore il divieto di conversione a tempo indeterminato.  Rispetto al settore privato in cui è previsto il diritto alla trasformazione contrattuale, nel pubblico non è invece ammessa la conversione a tempo indeterminato del rapporto lavorativo.  Resta infatti esclusa la possibilità di stabilizzazione perché l’assunzione nella Pa, secondo le regole dell’ordinamento italiano, è legata al superamento di un concorso.
Tale forma di tutela si appalesa, dunque, come sufficiente a rispettare gli obblighi europei che impongono alle leggi nazionali di contrastare l’abuso del contratto a termine con un ben prefissato argine, volto ad  impedire la stabilizzazione del rapporto di lavoro, che nell’ordinamento italiano contrasta con il principio dell’accesso alla Pubblica amministrazione solo tramite concorso. A chi è stato titolare di contratti a termine illegittimi, è dunque  aperta la strada del riconoscimento del danno, che non è rappresentato dalla mancata stabilizzazione ma piuttosto dalla perdita di chance prodotta dalle altre occasioni di lavoro stabile che l’interessato non ha potuto cogliere perché impegnato nel rapporto precario con la PA.
La diversità di disciplina tra pubblico e privato, come spiegano le Eminenze Grigie del Palazzaccio,  non implica violazione dell’art. 3 della Cost., proprio per la sostanziale differente modalità di accesso all’impiego: nel settore pubblico la regola è data dal pubblico concorso ex art. 97 Cost., posto a tutela del buon andamento ed imparzialità della PA, regola che resterebbe disattesa in caso di utilizzo del lavoro flessibile ben oltre le esigenze temporanee ed eccezionali che dovrebbero giustificarlo, ponendosi in contrasto con un bene di rango superiore, a garanzia del quale ha prevalso imperiosa la necessità di piantare un paletto invalicabile.

di Antonella Virgilio

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *