Attivisti Hobo si scagliano a Bologna contro Salvini
Irrompono in libreria per strappare copie del leader Lega Nord. Bonaccini: “gesto nazista”.
Ha assunto risvolti contradittori l’atto di Hobo, movimento collettivo del bolognese, che lo scorso 5 maggio ha targato la sua personale contestazione di Matteo Salvini, all’interno della libreria Feltrinelli di Bologna. Quattro giovani manifestanti, proseguendo il clima di protesta dovuto all’arrivo di Salvini nel capoluogo emiliano, si sono diretti fra gli scaffali della libreria e qui, con foga, hanno strappato le pagine del libro del leader Lega Nord, “Secondo Matteo”, in uscita tra l’altro proprio quel giorno. “Abbiamo raccolto – hanno rivendicato gli attivisti di Hobo in una loro nota – l’invito di Salvini a ‘svuotare le librerie’. Abbiamo ripulito il negozio dal suo libro, ridotto in brandelli e affidato all’unico luogo che lo può ospitare, cioè la pattumiera della storia”. La dichiarazione, di per sé, induce una riflessione. Non tanto per la carica d’idealismo giovanile, contraddittorio e stereotipato, per cui le libertà democratiche vadano difese creando disordine pubblico. Ma più per gli effetti che un gesto volto a danneggiare Salvini gli abbia, in realtà, fatto un gran favore. Tra l’altro, il migliore che si possa concedere ad un concorrente: publicità gratuita. In questo caso, non serviva di certo strappare un libro per accorgersi che Matteo Salvini, per quanto imbeva la sua retorica di facile populismo, non sia un candidato politically correct. Né tantomeno c’era bisogno di disseminare carte in un luogo pubblico per contestare le dichiarazioni di una singola persona, che nulla ha a che vedere con il punto vendita in questione. È paradossale come un gesto tanto plateale, che i fautori caricano di un significato così importante, si riveli invece privo di messaggio. Dalla carica di paladini della giustizia di cui si sono autoinvestiti, i manifestanti di Hobo sono stati accusati di atteggiamenti fascisti, offrendoci l’occasione per un’altra perla di Maroni: “I nuovi partigiani siamo noi”, dichiarazione esagerata, ma che va compresa. Succede così che dietro a chi toglie la parola, per quanto questa possa risultare scorretta, non si nasconde un difensore della democrazia, ma un coercitivo. Probabilmente per i giovani attivisti tale gesto rappresentava un atto rivoluzionario, un modo per prevaricare su delle idee che non meriterebbero di essere condivise, che non rispecchiano la propria concezione della realtà. Togliere la parola a Salvini, che non fa remora di quel che dice anche quando potrebbe tacere, estirpa la difformità d’opinione alla radice, censurandola. La contraddizione è a questo punto intrinseca nel gesto stesso. “I libri li bruciavano o strappavano fascisti e nazisti. Chi lo fa coi libri di Salvini se lo ricordi”, arriva con un tweet dissacrante la condanna del Presidente dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini. D’altronde siamo soliti dire, in difesa di chi non concorda con noi, «Non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu lo possa dire». Anche se può voler dire lasciare la parola a Matteo Salvini.