Francia: la rivolta nel passato sociale d’Europa
La Loi du Travail è stata proposta dalla giovane Ministra del Lavoro Myriam El Khomri, per conto del Presidente Hollande, del suo Premier Valls, della Commissione e della Banca Centrale Europea. Essa ribalta completamente i principi del diritto e dello stato sociale, mettendo unilateralmente nelle mani delle aziende la possibilità di ridurre i salari, aumentare gli orari, eliminare i permessi familiari. Gli imprenditori non avranno più neanche la necessità di dichiarare lo stato di crisi aziendale per procedere a licenziamenti, riduzioni salariali, a imporre lavoro straordinario sotto-pagato e reperibilità non retribuita. Basterà loro avanzare ragioni di “adeguamento alla concorrenza”. Non solo le tasche e le norme lavorative delle generazioni giovanili precarie, ma quelle di tutte le età verranno depredate in forza di una legge di stato. Uno stato, quello francese, che fino a oggi aveva conservato una notevole dimensione sociale. L’orario di lavoro settimanale è di 35 ore, esiste il reddito minimo garantito (RSA) e lo chomarge, diversamente dalla nostra cassa integrazione, è esteso a settori sociali più ampi.
Loi du Travail, tradotto in italiano, è Legge del Lavoro. Il nostro Presidente del Consiglio l’ha voluta invece chiamare con il nome angloamericano di Jobs Act. Solo per questo stratagemma linguistico, giovani e lavoratori, sindacati e movimenti, stanno rivoltando, paralizzando la Francia e in Italia invece niente?
Certamente no, anche se già nell’ormai lontano 1943 il premier inglese Wiston Churchill, in un celebre discorso ad Harward, aveva affermato: “Gli imperi del futuro sono quelli della mente e questi si conquistano per via linguistica, ossia con l’unificazione e la dominazione del mondo attraverso la diffusione capillare del Basic British, ossia l’angloamericano scientifico internazionale commerciale. L’unificazione-dominazione preconizzata da Churchill – sappiamo – ha fatto molti passi in avanti sul pianeta. Soprattutto perché un’altra via si è affiancata a essa. Quella della finanza, che è da molto tempo interamente sottomessa a quell’imperialismo linguistico. La tecno-turbo finanza – ancora più potentemente – prosegue e rinnova il tentativo di imporre la sua unificazione, omologazione, omogeneizzazione al mondo intero.
Le differenti mappe dell’attuale geografia sociale europea emergono proprio dalle linee frastagliate degli atlanti storici del continente. Un continente – non dimentichiamolo – nettamente caratterizzato dalla propensione al dominio, alla conquista di terre, alla razzia di risorse, alla sottomissione di popoli. Due soprattutto – oltre la Spagna – sono state le potenze continentali che hanno segnato la loro storia in questo senso: l’Inghilterra e la Francia. Le due nazioni con maggiori possedimenti d’oltremare – dall’Africa, all’Asia, all’America Settentrionale, all’Australia – e per questo anche i due paesi maggiormente concorrenti tra loro, dato che possedimenti significa ricchezza di una nazione.
Il progetto di unificazione tecno-economica dell’Europa si scontra dunque con singoli territori sociali anche molto diversi tra loro. Ricchezza da ex possedimenti o da influenze economiche su essi, infatti, ha significato in Europa anche un più o meno avanzato stato sociale, o welfare. La storia moderna dell’Italia coloniale è stata indubbiamente molto più breve e di minore portata geografica di quella di britannica e francese. Se dopo il cosiddetto boom economico degli anni ’60, l’Italia ha registrato una lunga, ininterrotta valanga di conflitti sociali, superiore a qualsiasi altro paese in Europa, è proprio perché l’Italia quei limitati domini coloniali, e i conseguenti benefici sociali, li aveva interamente perduti, insieme all’ultimo conflitto bellico mondiale, proprio a favore di Francia e Inghilterra. Di conseguenza poteva concedersi anche uno stato sociale nettamente inferiore.
Il concetto di dominio esterno e la realtà di una democrazia solo interna sono stati parimenti inseparabili e co-originari dell’Europa. Nel V sec. A.C., ad Atene la prima forma di democrazia al mondo riguarda solo i cittadini della polis, della città-stato, e non chi era esterno a essa, ossia donne, schiavi e stranieri. Del libro di crimini efferati commessi verso l’esterno dalle culle della moderna democrazia occidentale, la Storia non ha finito di scrivere ancora pagine.
Così la ricchezza nazionale che gli ex domini esterni non offrivano all’Italia è stato sopperito con una politica di spesa e di debito pubblico, consentito anche in campo internazionale, proprio per la situazione di rischiosa soglia critica continentale che il nostro paese ha rappresentato tra i due blocchi strategici mondiali: Usa e Urss. Per la Francia questo rischio non c’è stato mai. Il suo stato sociale scaturisce da una grandeur di potenza coloniale vincitrice della seconda guerra mondiale, oltre che dai principi della Rivoluzione Francese.
Vedersi completamente scardinato il proprio welfare, saccheggiate le proprie risorse salariali e temporali, la propria storica autonomia politica interna, da parte di un tecno-vertice finanziario esterno che nessuno ha mai democraticamente eletto, ha determinato un’immediata ribellione di massa che si è ben presto estesa a tutta la Francia e, che invece di fermarsi, sta paralizzando tutta la nazione, a cominciare da trasporti e rifornimenti.
In Italia, l’attacco allo stato sociale è avvenuto all’atto stesso del crollo del muro di Berlino e dell’Urss. Lo Jobs Act arriva alla fine di un processo di graduale riduzione, svuotamento. Soprattutto giunge a seguito del mutamento di un quadro geo-strategico che non ha più alcun interesse a sostenere il debito pubblico dell’Italia. Anzi, il convergente, vertiginoso mutamento tecnologico consente di aggredire i debiti sovrani degli stati per ridurli alle ragioni implacabili delle forze economiche globali dominanti.
Riducendo ai minimi termini lo stato sociale delle nazioni occidentali, si restringono – come inesorabile conseguenza – anche il concetto e la realtà di dominio esterno e democrazia interna. Il pianeta è diventato tutto interno all’Occidente. Il dominio non ha dunque più nulla di esterno a esso. Consapevolmente o meno, le opposte forze dello scontro francese sono guidate da tale dialettica, e insieme all’esplosione stradale di superficie, una poderosa implosione si propaga lungo tutto il sottosuolo europeo.
di Riccardo Tavani