Emergenza terremoto: la generosità cammina scalza.
Lo chiamavano Monsignore, ma era prete semplice, senza mostrine, sacerdote di provincia come tanti. Nella sua chiesa, nella notte dei tempi, aveva detto messa un Papa, lasciando come speciale concessione il titolo di Monsignore a tutti i parroci a venire, nei secoli dei secoli, amen. Monsignore era uomo di cuore largo e abbondante. Durante i giorni miseri della guerra aveva aiutato chi poteva regalando tutto il regalabile. D’inverno si sfilava anche le calze per darle a chi non aveva nemmeno le scarpe. Era rientrato a casa scalzo spesso, fino a quando non gli avevano imposto di indossare soltanto calze viola, come conviene a un monsignore “cappellano di Sua Santità”. Di quel colore non le voleva nessuno, nemmeno in elemosina. Quelle caviglie fasciate di viola, che spuntavano ad ogni passo dall’orlo nero della tonaca di Monsignore, raccontavano la sua smisurata generosità.
Si misura, la generosità.
In soldi e in sacche di sangue, in tende, cuscini, tavoli sedie e coperte, alimenti, piatti e bicchieri di plastica, banchi di scuola, stampanti, pc. Si misura in camere d’albergo concesse gratuitamente, in cure mediche, in notti al freddo, in ore di lavoro non retribuite, in professionalità regalate. Nei giorni dopo il terremoto che ha cancellato Amatrice, non c’è stato nessuno che non si sia guardato in tasca, non c’è stato nessuno che una forma di generosità non l’abbia almeno pensata, e quantificata. Per un’amatriciana di solidarietà con mille persone, per esempio, ci vogliono un quintale e mezzo di pasta, e 50 chili di condimento. E panche da sedere, e acqua e vino da bere.
Il pensiero nel bisogno va in cerca di fantasia: purché il bene sia fatto bene, tutto serve, tutto vale, anche un torneo di pallavolo: un’idea da ragazzi nata per raccogliere fondi per l’emergenza terremoto e per stare insieme. “Insieme” è la parola chiave: la solitudine è il carico da undici che peggiora una situazione già di per sé grave. Insieme vuol dire non lasciare nessuno da solo. Insieme si è solidi e solidali. Se i soldi raccolti con le iscrizioni al torneo di pallavolo non sono tanti, “insieme” a tutti gli altri sembrano di più. Come le monetine del salvadanaio: da sole non valgono niente, tutte insieme fanno un tesoro.
La pallavolo è un gioco: nessuno vince, nessuno perde, se in campo entrano tutti. Anche le vecchie glorie che da vent’anni non saltano sotto rete. Anche quelli che nella vita la palla l’hanno sempre e solo presa a calci (e si vede). Anche i troppo giovani e i meno giovani. E le ragazze, che per un pomeriggio dimenticano il telefono in borsa. L’ultimo ad arrivare non è nemmeno vestito in tenuta sportiva. Ma vuole partecipare: versa la sua quota solidale e visto che non ha le scarpe adatte, entra in campo scalzo. Che la generosità non abbia paura di camminare coi piedi nudi, è una vecchia storia.
di Daniela Baroncini