Una guerra che viene da lontano: chi ne paga i pesanti costi?

Con la fine dell’Unione Sovietica si è rotto l’equilibrio del potere uscito dalla Seconda guerra mondiale in cui si sono configurati due blocchi:

 -da un lato l’impero americano, costruito dagli USA che assumono la guida del mondo occidentale, sostituendo nel ruolo il Regno Unito, fino ad allora prima potenza dell’Occidente, e che tramite la NATO concretizza e rende visibile la propria potenza bellica;

– dall’altro l’Unione Sovietica, costituita dalla Russia sovietica e da un cospicuo numero di repubbliche, sovietiche anch’esse, a base essenzialmente nazionale, ma con forti minoranze russe, che, insieme ai Paesi satelliti, contrappone all’alleanza militare occidentale, la propria: il Patto di Varsavia. Si potrebbe osservare che il momento di massima sicurezza della Russia propriamente detta, sia stato raggiunto, paradossalmente, dal georgiano Stalin.

Con la fine della guerra fredda, il gigante sovietico è “imploso”; si è sbriciolata, o meglio, è esplosa la cintura di sicurezza costruita intorno alla Russia vera e propria la cui realizzazione ha costituito un obiettivo per tutti i governi che si sono succeduti nel corso del tempo in quella enorme porzione di territorio.

Una costruzione determinata dalla paura, dal timore dell’accerchiamento, che fanno parte del retaggio culturale russo e che traggono origine dalle devastazioni subite, tra XIII e XVI secolo, dai principati russi estremamente frammentati, ad opera dell’”Orda d’Oro” mongola, da oriente; dall’aggressività degli europei (Polacchi, Lituani, Svedesi, Prussiani, Asburgici) da occidente, e dall’Impero Ottomano da sud. Per oltre duecento anni le popolazioni russe sono vissute con l’incubo dell’annientamento, e ciò è diventato parte costitutiva, caratterizzante del popolo russo, ed ha condizionato la politica estera, militare ed economica che ha informato la storia dell’evoluzione del primo stato slavo storicamente documentabile: dal Rus’ di Kiev, poi principato di Moskow, o Moscovia, governato dagli zar della dinastia dei Daniiloviči, all’impero dei Romanov, all’Unione Sovietica uscita dalla Rivoluzione d’Ottobre e la Russia di Putin.

I due blocchi si sono contrapposti per decenni, in una situazione di stallo e di equilibrio di potenza, provocandosi reciprocamente con ingerenze nelle contrapposte aree di influenza: blocco di Berlino, guerra di Corea, missili installati in Turchia e crisi di Cuba, guerra del Vietnam; contrapposizione in tutti i paesi che si stavano rendendo indipendenti a seguito del processo di decolonizzazione.

Come sempre si è verificato nel corso della storia, davanti alla debolezza di uno dei contendenti, l’altro tenta di strappare parti di territorio e di mercato inglobandoli nella propria sfera di influenza.

Anche in questo caso ciò è avvenuto: la NATO ha espanso i propri confini, fino a portarli a ridosso del nucleo centrale del mondo russo, tramite progressiva acquisizione di territori che facevano parte della “cintura di sicurezza” russa, la qual cosa non giustifica, non si può mai accettare il ricorso alle armi, ma fornisce un’altra spiegazione all’ invasione dell’Ucraina, considerando anche le non poche ricchezze naturali della regione del Donbass, dove hanno avuto luogo i primi scontri armati, a sfondo anche nazionalistico.

Sembra di assistere ad una riedizione del “Grande gioco” (XIX secolo), espressione creata da Arthur Connolly e resa famosa da Rudyard Kipling nel romanzo Kim, in cui si confrontavano, in Asia centrale, le due massime potenze dell’epoca: Impero britannico e Impero russo. Sono cambiati i protagonisti, i grandi attori, i gruppi di potere, qualche territorio si è aggiunto a quelli contesi allora, ma si tratta sempre di quell’enorme territorio centroasiatico che va dal Caucaso agli Altaj e che è ricco di risorse economiche naturali il controllo delle quali assicura il predominio.

La guerra in Ucraina, per noi europei, è probabilmente la più pericolosa tra tutte quelle che si sono scatenate intorno a quella zona, a quel serbatoio di ricchezza, ovvi i motivi: prossimità geografica e coinvolgimento diretto di una grande potenza nel conflitto.

Oggi, a differenza di quanto avvenuto oltre un secolo fa, non ci sono solo due soggetti in grado di far sentire la propria presenza attiva nel processo di ridefinizione degli assetti del mondo. Paesi come la Cina e l’India, che per dimensioni, 13 milioni di Km2 di superfice, popolazione, 37% dell’umanità e forza economica un quarto del PIL mondiale, si sono già inseriti in questa edizione riveduta e corretta del “Grande gioco”. La non adesione alle sanzioni nei confronti della Russia, la creazione del BRICS(T) ne sono un esempio.

Il secolare conflitto tra Europa occidentale e mondo Russo per il predominio in quell’area e nel resto del mondo ha nuovi e altri protagonisti.

Alle ragioni economiche, politiche e di potenza, vanno ad aggiungersi i risorgenti nazionalismi che, come fiumi carsici, sembrano scomparire, ma tornano ad emergere e si manifestano con l’usuale violenza: quello Ucraino, alla ricerca di una sua ragione di esistere, quello Russo, che considera Kiev la madre di tutte le città russe, quelli europei e centroasiatici, quello panturanico del filoislamico Erdogan, al potere in Turchia, che pronuncia frasi come “i crociati non hanno vinto”, e che si rivolge alle popolazioni turcofone centroasiatiche.

La complessità della situazione non consente previsioni sull’esito finale di questo conflitto, gli scenari che si configureranno.

Possiamo cercare di capire le origini forse, non certo prevederne l’evoluzione.

Di una sola cosa abbiamo certezza: ovunque ci sia un conflitto, in ogni tempo e luogo, chi ne paga le conseguenze peggiori e i costi economici sono le fasce più povere delle popolazioni che forniscono anche la carne da cannone, coloro che fisicamente combattono e muoiono, da ambo le parti, in veste di patrioti o di mercenari. Non fa differenza, provengono dalle stesse fasce socioeconomiche.

Il fiume di disperati che fugge da tutte le guerre (sono circa 30 i conflitti in atto attualmente nel mondo), da questa terza guerra mondiale a pezzi, ne è drammatica, triste testimonianza; così come lo sono gli sconosciuti cimiteri, in mari di acqua salata o di sabbia, colmi di cadaveri, e che sono solo la punta dell’iceberg, fanno parte di quella minoranza che ha la dubbia “fortuna” di tentare la roulette russa dell’emigrazione, della fuga.

Anche nella parte di mondo non direttamente coinvolta, ma partecipe della guerra e della quale il nostro Paese è componente, i costi economici sono pagati dalle fasce sociali più deboli.

In Italia ne sono testimonianza i tagli ai finanziamenti reali alla scuola pubblica, al Sistema Sanitario Nazionale, alla spesa assistenziale e previdenziale, che colpiscono pesantemente gli strati più poveri della società e il contestuale incremento del finanziamento del ministero della guerra.

Ancora una volta sono i poveri che pagano a causa della incapacità di conoscere, capire, discernere… a causa della mancanza di quegli strumenti che solo l’istruzione può fornire. La capacità di analizzare la marea di notizie vere e false che, nel mondo della comunicazione immediata e dell’informazione producono disinformazione reale, la consapevolezza necessaria ad uscire da uno stato di sudditanza e subalternità. Parafrasando un’affermazione gramsciana potremmo concludere “istruiamoci, perché abbiamo bisogno di tutta la nostra intelligenza”.

È l’unica via praticabile.

 

Corrado Venti

 

 

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