Da Manchester a Taormina.
Tra la ‘m’ di Manchester e la ‘t’ di Taormina c’è uno iato di 7 lettere. Dalla Gran Bretagna – ‘GB’ – al ‘G7’ il legame mostra i rimandi sottili persino della ‘numerologia’.
Il ricordo del recente attentato di lunedì scorso in Gran Bretagna, ha stagnato a lungo sulla ‘passerella’ internazionale di Giardini-Naxos, tirata a lucido per l’incontro del G7 presieduto dall’Italia.
Le 22 vittime di Manchester – cui si è aggiunta la strage dei 36 cristiani copti egiziani – hanno ricordato, se ce ne fosse bisogno, ai Sette Grandi che il terrorismo fa strage degli ultimi e dei più piccoli della terra.
In Siria, in Africa, nel Mediterraneo: a morire sono – sempre più spesso – bambini. Saffie Roussos – la piccola di Manchester che, prima di morire tra le braccia dei soccorritori, cercava disperatamente la sua mamma – aveva solo 8 anni e il suo sogno era di poter ascoltare il concerto della sua beniamina.
Le urla dei bambini africani ingrossano l’eco delle conchiglie sul fondo del nostro mare. Rispondono negli obitori e nei cimiteri le urla disperate delle madri.
A Crotone, mentre era in corso il G7, una giovane donna africana alla vista del cadavere del suo bambino – chiuso in un telo di plastica – ha perso anche quello che portava in grembo, per un aborto traumatico. Chi ha il coraggio di pronunciare la parola ‘salvezza’ davanti a quella donna?
I ‘grandi’ e i potenti del mondo, separati su tutto – dagli accordi sul clima a quelli commerciali – hanno sentito di dare almeno sul fronte della lotta al terrorismo una risposta unitaria.
Ma di fronte alla morte e alle strage di innocenti – dei più piccoli e indifesi – quale è stata, nei fatti, la risposta dei sette ‘Grandi’?
“Combatteremo l’abuso di Internet da parte dei terroristi. – si legge in una nota congiunta – Pur essendo una delle principali conquiste delle ultime decadi, Internet ha anche dimostrato di essere un potente strumento per gli scopi terroristici. Il G7 chiama i service providers e i social media ad aumentare gli sforzi contro i contenuti terroristici”.
I ‘Grandi’ del mondo si scagliano contro i ‘giganti’ del web, come se fossero entità ‘sconnesse’ e separate dall’economica globale, come se non fossero loro stesse propagazioni. Come se la potenza economica e commerciale dell’occidente non trovi proprio nella Rete il suo ‘mezzo’ più sviluppato ed efficace. Come se il condizionamento di ‘cittadini’ e ‘consumatori’ non avvenga proprio attraverso il Web e i social media. Come se della strategia economica delle Potenze del Mondo non facciano – organicamente – parte il controllo e la ‘diffusione’ mirata di abitudini e bisogni ‘consumistici’ attuati attraverso e nella Rete. Come se questa non sia nata quale risposta ‘globale’ all’asfissia dei mercati ‘locali’.
Google, Yahoo, o piattaforme social come Instagram o Facebook, sono gli stessi strumenti con cui opera il mercato: sono il ‘mezzo’ con cui gruppi di potere accumulano nuove, incalcolabili fortune. Denunciare l’uso della Rete da parte dei terroristi senza ‘considerare’ le ragioni e la ‘natura’ del Web è esercizio sterile e demagogico.
Ma poi, cancellare dall’utilizzo della Rete gli apologeti del terrore è, davvero, possibile? Nel loro appello sgangherato e – letteralmente – ‘irresponsabile’ ad una maggior attenzione da parte dei ‘service providers e ai social’, i Sette Grandi non sembrano essersi accorti del corto circuito che segnala la loro stessa richiesta: se non altro, di quanto essa giunga tardiva.
Avranno considerato che il Web, la Rete e i Social oltre ad essere la forma di ‘business’ più avanzata dell’economia di mercato, sono – in un accostamento sovrumano tra vittime e carnefici – gli stessi ‘ambienti’ in cui la beniamina della piccola Saffie vive il proprio cordoglio e il proprio dolore per l’attentato e i terroristi rivendicano la strage?
Quale ‘chirurgia informatica’ può realisticamente separare ‘l’inseparabile’ che ‘uniforma’ – per sempre – tutto ciò che finisce indistintamente nella Rete: dalla testimonianza di cordoglio per le vittime, alla ricerca disperata di dispersi, dall’appello delle forze dell’ordine alla stessa rivendicazione dei gruppi jihadisti?
Agli occhi dei Sette la Rete si mostra improvvisamente luogo incontrollabile, improvvido, pernicioso. Ma quando Ariana Grande – che non ha colpa alcuna, sia detto chiaramente – chatta con i suoi ‘fan’ di 8 anni nessuno è mosso ad alcuna considerazione sui rischi connessi a quella interazione e ai ‘costi’ economici e sociali della Rete?
Dove sono i ‘grandi’ quando i ‘piccoli’ hanno accesso ai social, attraverso cellulari e tablet sempre più sofisticati e semplici da usare, loro offerti e venduti anche in Rete?
Genitori e politici pensano davvero che non ci siano ‘costi’ materiali e morali da parte di figli, bambini, minori nell’uso della Rete e dei Social? Chi avvisa i minori di quanto può ‘costare’ loro una vita sempre più ‘connessa’ ai social? Soprattutto, chi ci guadagna?
Nel nome degli ultimi e più indifesi del mondo, nel nome delle centinaia di migliaia di bambini che pagano, ovunque, il prezzo delle scelte culturali e politiche dei Grandi, ci si sarebbe aspettata una riflessione su quella ‘zona grigia’ di contiguità tra interessi economici, affari ed equilibri internazionali, che è in Rete e alimenta la Rete perché fa rete.
Se da un qualunque ‘consiglio di classe’ ci si poteva attendere un generico appello ad “aumentare gli sforzi contro i contenuti terroristici” della Rete; dal documento conclusivo del G7 dei Grandi della Terra in difesa della vita dei ‘più piccoli’ ci si poteva aspettare qualcosa di più.
Che, ad esempio, dai siti gestiti dalle ‘potenze’ economiche della Rete venisse messa al bando – così da non figurare mai più in alcun indice di ricerca – la parola “armi”.
di Luca De Risi