Dagli all’untore
Ci racconta Manzoni che, durante la peste di Milano (siamo nel XVII secolo), la gente credeva che la malattia venisse diffusa da alcuni biechi individui che “ungevano” le case con qualcosa di sinistro e indefinito, capace di trasmettere il contagio. Era facile scatenare la violenza della folla contro qualunque povero e innocente malcapitato, additandolo al grido di “dagli all’untore!”: era un linciaggio assicurato.
Oggi potremmo sorridere di tanta creduloneria, se non leggessimo su alcuni giornali frasi in realtà simili a quelle di qualche secolo fa: gli immigrati (soprattutto se clandestini) portano la malaria.
Forse è il caso di fare un po’ di chiarezza.
La più grande epidemia moderna è forse l’AIDS, che ha invaso l’europa nei decenni passati, quando il fenomeno dell’immigrazione clandestina non esisteva. Comunque, non è stato portato dagli immigrati, ma si è diffuso grazie all’ignoranza ed ai pregiudizi. Magari con una certa complicità dei governi dell’epoca, che tardarono a rendere più sicure le trasfusioni e non volevano parlare di “preservativi”, soprattutto nelle scuole.
Così pure la zanzara tigre e il punteruolo rosso non sono venuti con i barconi, ma con altri tipi (legali) di trasporto.
Grazie al cambiamento climatico, la possibilità di sopravvivenza delle zanzare provenienti dall’Africa è aumentata. Malaria da aeroporto e malattia del Nilo Occidentale (casi segnalati in tutto il mondo, Italia compresa) fanno più paura oggi che non in passato. Secondo molte agenzie (come l’American Society of Tropical Medicine AND Hygiene) il rischio di diffusione delle malattie tropicali in occidente è legato a due fattori: il cambiamento climatico e il traffico aereo internazionale.
Questo per chiarire che in un mondo globalizzato è inutile dare la caccia all’untore: è meglio essere concreti.
La malaria è stata eliminata dall’Italia da molti decenni. Resta un flagello per il mondo, con oltre 200 milioni di casi l’anno e 400.000 decessi. È la pandemia dei poveri, diffusa com’è nelle zone più povere del pianeta. Da noi appare raramente. Di solito si tratta di casi contratti viaggiando nelle zone di endemia. Qualche rara volta ha origine autoctona: in questi casi, ha il soprannome di “malaria da aeroporto”, perché viene contagiata da qualche sperduta zanzara che ha viaggiato in aereo (lei sì, clandestinamente). Tanto per chiarire che non sono i richiedenti asilo che la portano da noi: loro usano i barconi
Veniamo al tragico caso della bambina morta di malaria all’ospedale di Brescia. Si tratta di uno di quei casi autoctoni, ancora più rari nel mondo occidentale (meno di un caso l’anno, forse un caso ogni dieci anni), in cui la malaria si presenta senza che si possa trovare un contatto rientrante nelle casistiche note. Ancora non si è scoperto quale possa essere stato il veicolo di trasmissione e, probabilmente, non lo si saprà mai con una qualche sicurezza.
Leggendo i giornali, sembrerebbe che, con tutti i mezzi tecnologici oggi disponibili, non si possa non scoprire il perché di ogni cosa. È un pregiudizio tipico di chi non è del mestiere. In effetti, moltissime malattie sono tutt’oggi classificate come “idiopatiche”, “criptogenetiche” o “essenziali”: vuol dire che non se ne conoscono con precisione le cause. Così, la letteratura medica registra dei casi di malaria autoctona, la cui origine è rimasta ignota, a dispetto delle indagini effettuate.
Un aspetto molto rilevante di questo triste caso è, ovviamente, che abbia avuto un esito letale. Anche su questo è utile avere qualche informazione.
In Africa, dove la malaria è diffusa, i bambini (e, a maggior ragione, gli adulti) spesso hanno una forma parziale di immunizzazione. Nei primi mesi di vita, questa viene con il latte materno. Dopo, si acquista perché il plasmodio è molto diffuso nell’ambiente. Perciò, la malattia è spesso meno grave: tende a cronicizzarsi senza le complicanze mortali come l’encefalite. Al contrario, l’europeo che contragga la malaria non ha nessuna, pur parziale, immunità. Perciò può svilupparsi più facilmente la più pericolosa forma cerebrale o, comunque, una cosiddetta “malaria complicata”, la cui mortalità, in assenza di cure, è prossima al 100%. Il farmaco di scelta è l’artesunate, che è prodotto in Cina (dove è stato scoperto dalla farmacologa To Youyou, premio Nobel per la medicina nel 2015); forse per questo nel sito dell’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) digitando “Artesunate” si trova soltanto l’indicazione di una tavola rotonda del 2008.
Oltretutto, la diagnosi è più difficile – o, comunque, meno pronta – nelle zone, come la nostra, dove la malaria non è endemica. È tristemente famoso il caso di Fausto Coppi, che morì di malaria perché i medici – all’epoca noti “luminari” – lo trattarono inutilmente con gli antibiotici, rifiutando l’ipotesi malaria, considerandola impossibile in Italia. Se in quel caso ci fu, come credo (Coppi aveva fatto un viaggio in Africa), una responsabilità medica, forse non è umanamente possibile una diagnosi immediata in casi, come questo, caratterizzati dalla assoluta eccezionalità.
Torniamo, infine, alla questione dei supposti “untori”. È utile, a questo proposito, considerare alcuni dati epidemiologici ufficiali.
L’Agenzia Europea per l’Ambiente stima che in Europa ci siano ogni anno 467.000 morti per inquinamento e smog (dati del 2016). L’OMS calcola che nel mondo 1,7 milioni di bambini di età inferiore ai 5 anni muoiono ogni anno in conseguenza dell’inquinamento ambientale. In totale (compresi gli adulti) la cifra stimata è di 12,6 milioni di morti l’anno (dati del 2016). Non è peggio della malaria? Al confronto, anche l’allarme morbillo fa sorridere.
Allora, non sarà il caso di chiederci chi siano davvero gli “untori”?
di Cesare Pirozzi