L’omicidio del giudice Saetta

Colpire per punire uno e avvisarne molti. Spesso strategie e azioni criminali si riconducono a un’azione e due risultati, e le azioni quasi sempre letali che la mafia, la ‘ndrangheta o la camorra portano a compimento non sono mai fini a se stesse.
Questo lo immaginava certamente, e forse fino al punto di temere per se stesso, il giudice Antonino Saetta, siciliano e difensore della legalità in Sicilia, ucciso in un agguato da Cosa nostra il 25 settembre 1988, insieme al figlio Stefano. La sua carriera da magistrato si avvia lontano dalla sua terra, ma si incrocia ben presto con le vicende mafiose quando, da Presidente della Corte d’Assise d’Appello di Caltanissetta, presiede il suo primo processo di mafia, quello per l’assassinio del giudice Rocco Chinnici, in cui, oltretutto, ribalta la sentenza del primo grado, aggravando le pene per i fratelli Michele e Salvatore Greco; la cosa si ripete anche in occasione del processo per l’omicidio del capitano dei carabinieri Basile.
In Sicilia sono gli anni di Falcone e Borsellino nel pieno della loro attività di smantellamento di Cosa Nostra, e il maxiprocesso è in arrivo: arriva così il primo avviso della mafia, che nella persona del boss Giuseppe Di Caro tenta di corrompere il giudice Saetta: al suo rifiuto, la sentenza di morte è ormai emessa. Di ritorno da Canicattì, l’auto del giudice, che viaggiava senza scorta, viene affiancata e trivellata da una scarica di colpi che uccidono Saetta e il figlio. Nel 1996 la Corte d’Assise di Caltanissetta condannerà all’ergastolo i boss Salvatore Riina e Francesco Madonia in qualità di mandanti, e Pietro Ribisi come esecutore dell’omicidio.
Portata a termine una punizione e inviato un avviso, un preciso messaggio a coloro che con eccessivo rigore operavano nella giustizia: posto per incorruttibili come Saetta non ce n’era, in Sicilia. Oggi, rimane il ricordo e l’esempio di un operatore di giustizia che aveva il potere di compiere delle scelte e il coraggio di compierle sempre contro la parte marcia del suo paese.

Di Giusy Patera

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