Caso Regeni: Cambridge e i suoi professori sempre più sotto i riflettori. Ma a due anni dalla morte cosa sappiamo di questo omicidio egiziano?
Dall’ultima volta che eravamo tornati sul caso di Giulio Regeni, il ricercatore friulano ucciso al Cairo il 25 gennaio 2016 e ritrovato il 3 febbraio successivo, avevamo parlato dell’infittirsi dei sospetti nei confronti della professoressa Maha Abdelrahman, supervisor del dottorando italiano.
Ha fatto scalpore un articolo di “Repubblica”, pubblicato lo scorso 2 novembre. Al centro del ciclone proprio la professoressa Abdelrahman, del Dipartimento di Scienze Sociali di Cambridge, l’università in cui Regeni studiava. Il pezzo si propone di ricostruire l’intero caso, riservando particolare attenzione alla tutor, tornata di recente dietro la cattedra dopo un anno sabbatico. I giornalisti di “Repubblica” si sono riproposti di farlo alla luce del fatto che lo scorso 9 ottobre il procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone, e il suo vice, Sergio Colaiocco, hanno fatto richiesta di un EIO (European Investigation Order), così da permette lo scambio di documenti sul caso tra Italia e Inghilterra. In particolare, quello che interessa agli inquirenti italiani, è interrogare l’accademica e acquisire i suoi tabulati telefonici tra il gennaio 2015 e il 28 febbraio 2016. Inoltre – si legge su “Repubblica” – vorrebbero che la professoressa Abdelrahman rispondesse a precise domande: chi ha scelto il tema della ricerca di Giulio; chi il tutor; chi il metodo di questa “ricerca partecipativa”; chi le domande che il ricercatore italiano avrebbe posto nelle sue numerose interviste ai venditori di piazza Tahrir. Chi ha fatto queste scelte, Giulio Regeni o la professoressa Abdelrahman? E soprattutto il 7 gennaio 2016, a 18 giorni dalla morte del ragazzo, c’è stato davvero un incontro tra il ricercatore e la sua tutor?
E’ bene sottolineare che la professoressa Abdelrahman si è sottoposta a un interrogatorio il 12 febbraio 2016, a Fiumicello, dove si trovava per i funerali del giovane ricercatore. In quella occasione la docente non volle rilasciare il suo telefono e il computer: spiegò però che Giulio si era rivolto a lei in quanto esperta sia di economia che della sociologia egiziana. Fu quindi il ragazzo, giunto ormai all’ultimo anno di università, a sceglierla e lei fu lieta di accettare. In una mail agli inquirenti del giugno 2016, la professoressa Abdelrahman aggiunge che a scegliere come referente sul posto Rabab El Mahdi, professore dell’Università americana del Cairo il cui profilo è più vicino a quello di un attivista che non a un accademico, fu lo stesso Giulio: una decisione che può aver esposto il ricercatore friulano a ulteriori rischi. In merito all’incontro del 7 gennaio, Abdelrahman ammise che c’è stato ma parlò di un appuntamento molto veloce. Lo stesso giorno di quell’appuntamento, Mohammed Abdallah, il sindacalista con cui Giulio si interfacciò lungo tutto il corso della sua ricerca, ha venduto lo studente italiano ai servizi segreti egiziani.
L’incongruenza sorge, almeno leggendo l’articolo di “Repubblica”, in quelle che sembrano essere versioni contrastanti, della professoressa e del suo studente. In una conversazione con un amico, del luglio 2015, e in uno scambio di mail tra Giulio e la madre del successivo 26 ottobre, Regeni attribuiva la scelta di El Mahdi alla professoressa Abdelrahman, la quale risulterebbe essere anche la maggior sostenitrice di questa ricerca sui sindacati indipendenti egiziani. Queste, fino a prova confutata, sono però solo indiscrezioni, mail, confidenze che Giulio potrebbe aver fatto. Non possiamo sapere con certezza che tipo di ricerca avrebbe voluto condurre Giulio, se e quanto fosse al corrente della pericolosità della situazione. Regeni è stato torturato, ucciso e non può né smentire, né confermare, né tanto meno spiegare.
C’è chi giura che quello di “Repubblica” è stato un articolo “denigratorio”, “oltraggioso” e “volutamente fuorviante” tanto che 250 accademici hanno firmato una petizione a sostegno della professoressa Maha Abdelrahman. “Regeni voleva studiare i sindacati da anni – racconta al “fattoquotidiano.it” uno dei firmatari, il professor Gilbert Achar – e non si trattava di una ricerca pericolosa”. E’ bene qui sottolineare che lo studio di Regeni era rivolto ai sindacati indipendenti che si stavano riorganizzando sotto il regime di Al-Sisi. Percepire la scomodità del tema non è troppo complesso: non stiamo certo parlando dei sindacati italiani. “Quella seguita da Regeni – continua Achar – è stata la metodologia di ricerca ideale”. Tutto come da copione quindi. Per il mondo accademico Abdelrahman non ha responsabilità nella terribile morte del ricercatore italiano: le colpe, per l’università, sono semmai da ascrivere alle autorità egiziane, pista condivisa con il “New York Times”.
A ventidue mesi da quel terribile 25 gennaio, il baricentro della questione sembra essersi spostato dalla ricerca della verità per uno studente barbaramente ucciso a soli 28 anni alla gogna mediatica o meno nei confronti di una professoressa dell’Università di Cambridge. Sulla morte di Giulio Regeni che cosa è stato scoperto in quasi 2 anni? Forse la risposta è in una conferenza stampa tenuta dal presidente dell’Egitto, Al-Sisi, lo scorso novembre: “Quel delitto fu un danno per il nostro Paese: bloccò nuovi investimenti italiani”.
di irene Tinero