Lo hanno chiamato tempo ma è solo una salsiccia

Il tempo è quella indefinibile sostanza che l’uomo è riuscito a macinare e ficcare dentro budelli di suino mentale e che ha chiamato Storia. Dividendo poi l’insaccato in salsicce più o meno uguali si ottengono gli anni. Gli anni legati insieme e ripiegati in ciondolanti collane, in chili di salsicce pingui formano i periodi, i secoli, i decenni. L’antica arte della norcineria è l’essenza stessa della storia. Storia non solo umana, però, perché anche il cosiddetto mondo naturale, le terre, le rocce, le piante, le budella sotterranee del mondo, le superfici dei pianeti, le galassie finora osservate le abbiamo trascinate nel laboratorio di insaccamento del Grande Norcino che noi siamo. Nella nostra furia di macinazione e riduzione del mondo in salsicce non ci siamo però accorti di una differenza sostanziale. Quasi tutto nel tempo umano che man mano insacchiamo appare come subito scomparso, salsiccia dietro salsiccia. Non ci rimangono che resti, vestigia, tracce, scarti in decomposizione della realtà umana passata. Il Grande Budello dentro cui insacchiamo il tempo si mangia via via via tutte le salsicce che leghiamo in processione una dietro l’altra.

Nelle piante, nelle rocce, nelle viscere sotterrane del pianeta non c’è bisogno di suddivisione in salsicce. Ci sono strati materici, chimici e cromatici diversi che silenziosamente ci narrano tutto senza scomparsa. Noi – nella nostra deformazione di norcini temporizzatori – li chiamiamo età di quelle materie ma, in realtà, partendo dal punto di vista di queste ultime, tale denominazione non ha proprio alcun senso. Queste stratificazioni chimico-fisiche sono infatti tutti i diversi stati di cui tali materie si sono diversamente vestite, e che in esse non scompaiono si continuano a conservare. Nella storia umana non solo gli uomini ma le città, intere civiltà scompaiono. Nel sottosuolo della Terra ci sono intere regioni della realtà stratificate e conservate, e in molte parti ancora tutte da esplorare: non come età, però, ma semplicemente come diverso esprimersi di un racconto pluri-sedimentato del mondo senza alcun bisogno del tempo.

Così il sottosuolo se ne infischia dei nostri fine e inizio di anni, secoli, millenni sulla superficie, di tutte le insensate danze, sbornie, speranze e illusioni che vi insceniamo, celebriamo, fracassiamo sopra, lasciando appena qualche labile, confusa traccia, talmente incerta e lacerante che sarebbe preferibile non ne restassero per niente. A ogni fine d’anno, noi scaraventiamo giù dalle finestre il passato che riteniamo ormai inutile o che ci opprime, scagliando contro il cielo scintillii e boati dei nostri fantasmagorici desideri. Eppure è solo nel sottosuolo che resta scritta, silenziosamente narrata, strato su strato, la vera realtà, verso cui possiamo sentire che ci porta il cuore del mondo.

Se, infatti, noi vedessimo la vile materia terrestre, le rocce, i terricci, gli strati minerali magmatici, lavici, come torba, asbesto – ancora prima delle strutture vegetali e animali – non solo come massa inerte, ma come pensiero, ossia come insiemi di strutture matematiche, chimiche, fisiche, atomico-biologiche – quali persino un semplice sasso è –, capiremmo allora che anche in noi un vi è sottosuolo pluri-narrativo, di vesti e corredi esistenziali semplicemente diversi, ma senza tempo, ossia senza insaccamento e divisione in salsicce. Soprattutto in noi che siamo e appariamo in forma evidente quale sinolo, unione inscindibile di materia e pensiero.

Non un anno nuovo, auguri o maledizioni, dunque, ma un ritorno al futuro scendendo nelle sottostanti caverne del nostro pensiero e visioni di superficie, nelle quali pulsano insieme stratificazioni, frequenze ottiche, cromatiche e mentali di un passato che è in realtà solo il presente storico di queste cronache un attimo senza fine dal vostro stesso sottosuolo.

di Riccardo Tavani

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