Se domani un poliziotto corrotto

Movies Inspired è una piccola casa di distribuzione cinematografica che sta rapidamente crescendo in virtù delle sue proposte sempre originali e coraggiose. Lo conferma questo film di Tarik Saleh, The Nile Hilton Incident, reso con Omicidio al Cairo nel titolo italiano. Fares Fares, l’attore libanese protagonista, ha talmente creduto nel progetto da metterci sopra dei soldi e diventarne anche uno dei produttori. Una produzione internazionale di Svezia, Danimarca, Germania, Francia che riceve il riconoscimento del Grand Jury Prize al Sundance Festival 2017, nella sezione World Cinema Dramatic Competition. La vicenda si ispira a un fatto realmente accaduto nel 2009 nella capitale egiziana, al confine – proprio come nel film – tra criminalità, potere politico ed economico. Confine ancora oggi talmente scottante che, a pochi giorni dalle riprese, le autorità hanno revocato i permessi e minacciato di arresto autori e produttori. La produzione si è dovuta così spostare a Casablanca, in Marocco. Il regista ha scritto il copione sulla scorta del racconto che gli ha fatto il vero ufficiale di polizia protagonista di quelle drammatiche indagini.

Un ulteriore pregio di questo film riguarda proprio noi italiani: esso infatti getta uno squarcio di luce cruda nel sottosuolo di corruzione, brutalità, squallore poliziesco nel quale è stato massacrato il nostro giovane studioso Giulio Regeni.

Ne è venuto fuori davvero un gran bel noir carico di intrigo, azione e torbida atmosfera, resa dalla fotografia di Pierre Aïm, densa di materia cromatico-emotiva che ti si attacca alla pelle e da una colonna sonora a spirale, avvolgente. Lo sfondo è quello della recente pagina di storia che ha portato nel 2011 alla caduta del regime autoritario di Hosni Mubarak. La polizia del Cairo non si limita a essere il braccio violento del potere, ma impone la sua legge sulla città al pari di una capillare rete mafiosa che impone i suoi dazi, pizzi, dazioni, minacce, ricatti, coazioni. Il Maggiore Noredin Mostafa è uno di questi poliziotti-esattori di tangenti in un Distretto centrale del Cairo, sotto il comando di suo zio Kammal. Noredin vive solo, si aggira nella miseria esistenziale di una vita senza più speranze o illusioni. Gira con un’auto ammaccata e impolverata di media cilindrata a svolgere la sua principale attività investigativa, ossia ritirare i rotoli di banconote estorte in ogni angolo del Distretto a lui affidato. Tutto procede, più o meno liscio, nella spartizione tra poliziotti del bottino corruttivo, fino a quando non accade quello che nel gergo del genere poliziesco si chiama l’impiccio. Ossia un delitto fuori dell’ordinario, fuori del solito tran tran di piccolo cabotaggio estortivo. Un delitto scottante, perché è immediatamente palese che tocca la sfera più alta del potere. E accade proprio quando Noredin è in servizio e non può fare a meno di occuparsene ufficialmente, direttamente.

E qui abbiamo un altro elemento classico del genere. Il protagonista è un poco di buono che si stacca però dal fondo nero del suo ambiente per una sua qualche – pur contraddittoria – qualità umana. E la maggiore di queste qualità è l’ostinazione a voler conoscere la verità. Una qualità, potremmo dire, ontologica, dato che al fondamento stesso del nostro essere al mondo.

In più, la vicenda di questo cattivo tenente (per rifarsi a un titolo cinematografico di Abel Ferrara), cresce nell’intrigo investigativo, mentre cresce la rivolta politica della città, dell’intera nazione contro l’ormai intollerabile, marcio edificio autoritario del potere egiziano. Così il suo tentativo di riscatto individuale è il simbolo di un riscatto, di una sfida collettiva nella quale la posta in gioco è immediatamente la vita stessa: di un singolo individuo come di un intero popolo. Con la differenza che Noredin è parte integrante dell’efferato marciume che ora deve combattere per arrivare alla verità, cercando di salvare quella sua mezza dignità bastarda da poliziotto con le mani sporche sì di denaro ma non di sangue.

Chissà se Tarik Saleh o un altro regista egiziano riuscirà mai a incontrare un ufficiale di polizia che racconti finalmente come sono veramente andate le cose con il nostro Giulio Regeni.

di Riccardo Tavani

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