Cinque milioni di famiglie in povertà assoluta e la colpa non è di Aquarius. Anzi, siamo tutti sulla stessa barca

Lo sfruttamento lavorativo è una condizione che, all’interno dei confini nostrani, accomuna sempre di più italiani e immigrati, in un Paese che si scopre essere ogni anno più povero del precedente.

Mentre scoppia il caso delle navi Ong, lasciate in sospeso nelle acque del Mediterraneo, in attesa di un porto dove attraccare, passa in sordina la notizia della coop “Nova Facility” che offriva immigrati a buon mercato da inserire in un mondo del lavoro già di per sé poco rispettoso. Assicura però il responsabile legale della cooperativa, che ospita i migranti in due ex caserme di Treviso, che: “Il fine è nobile”. 

A denunciare il fatto è stata la redazione del programma “Dalla vostra parte” che ha rivelato la lettera inviata dalla cooperativa a numerose aziende della zona: “Ragazzi gentili, umili e volenterosi dall’ottima resistenza fisica, che non hanno alcuna pretesa in termini di remunerazione e turnazione”. Chi descriverebbe la propria “resistenza fisica” in un curriculum? Perché si parla di umiltà e “nessuna pretesa” e non si elencano i titoli di studio di queste persone? Poniamo il caso che si volesse onorare l’impegno di inserire queste persone nel mondo del lavoro: ma non è offrendoli a 400 euro al mese che si assolve a questo “nobile” compito. 

Non manca mai chi riesce ad avere un rigurgito fascista in ogni situazione: a sconvolgere parte dell’opinione pubblica non è questo tipo di schiavitù 2.0, ma il fatto che l’offerta dalla coop rappresenti una “concorrenza sleale per i disoccupati del nostro Paese”. “Anche noi italiani saremo costretti – dichiarano alcuni intervistati – a lavorare a 400 euro al mese”. Notizia bomba: la colpa non è dell’immigrato e questo avviene già da diverso tempo. 

Tra le file del caporalato, che assume stagionalmente personale per lavorare nei campi, ci sono negli ultimi tempi anche i cosiddetti “sovraistruiti”: persone che hanno un titolo di studio superiore al tipo di lavoro che svolgono e alla remunerazione che percepiscono. In Italia sono 320 mila (27%) i giovani che rispondono a questa definizione. 

Gli ultimi dati Istat, riferiti al 2017, rivelano un quadro inquietante: in Italia sono 5 milioni i cittadini che vivono in condizione di povertà assoluta, che non hanno cioè accesso al paniere dei beni di prima necessità o a un’abitazione. Un milione e 778 mila famiglie, per un totale di cinque milioni e 58 mila individui, dimostra che la povertà è cresciuta nell’ultimo anno e coinvolge un milione e 208 mila minori (12,1%). 

Il Mezzogiorno è più colpito del Settentrione: il 10,3% delle famiglie al Sud non riesce a far fronte alle spese basilari, ma i centri urbani e le periferie del Nord non raccontano un quadro tanto diverso. 

I giovani sono molto più in difficoltà degli anziani: le famiglie che si affidano ad ultra 65enni sono più solide di chi riconosce il proprio punto di riferimento in un trentenne. E quando gli ultra 65enni non ci saranno più e i trentenni di oggi avranno 65 anni, cosa faremo?

 di Irene Tinero

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