I gilet gialli: i rappresentanti del malcontento sociale
Il governo francese mercoledì 5 dicembre, sotto la pressione dei cosiddetti “gilet gialli”, i quali attanagliano da settimane le strade di Parigi (e non solo) per protestare contro l’’aumento dei costi della vita, ha deciso di bloccare i previsti aumenti delle tasse sui carburanti per il 2019. L’aumento previsto per il 1° gennaio è stato bloccato per l’anno 2019, ha annunciato il ministro dell’Ambiente Francois de Rugy. Le proteste dei francesi sono cominciate il 17 novembre per opporsi all’aumento delle tasse sui carburanti, ma si sono trasformate in una vera e propria sfida all’agenda pro-business del presidente francese Emmanuel Macron. I manifestanti si lamentano della distanza ormai incolmabile tra l’Eliseo e il popolo; Macron non si è “mai interessato alle richieste della gente comune ma solo alle richieste dei banchieri”, rivendicano i manifestanti, appoggiati anche dalla leader di estrema destra Marine Le Pen e dall’esponente di sinistra Jean-Luc Melenchon.
I manifestanti hanno messo a ferro e fuoco le strade di tutta Francia, bloccando completamente il traffico a pochi giorni dalle feste natalizie. Sabato 1° dicembre, i dimostranti si sono scatenati nella capitale, incendiando auto, distruggendo le vetrine dei negozi, tutto questo a due passi dall’Arc de Triomphe. A questo punto Macron e il suo governo hanno lanciato un appello a mantenere la calma, e hanno segnalato che sono pronti a fare ulteriori concessioni per evitare ulteriori violenze. Il presidente francese in questo momento è ai minimi storici nei sondaggi, al di sotto del 23%. Il governo di Macron è entrato in una fase delicata, ora i problemi strutturali della Francia stanno venendo alla luce. Il modo di funzionare della democrazia francese è messo in discussione a causa anche di fratture di carattere territoriale (centri urbani vs periferie) e sociale (integrati vs esclusi) sempre più forti. Un problema che non riguarda solo la Francia ma la maggior parte dei paesi occidentali, il modo in cui oggi intendiamo la democrazia potrebbe essere messo in discussione. Se analizziamo bene alcuni contesti internazionali come quello francese, brasiliano, italiano o statunitense notiamo una certa regolarità e ciclicità. Da una parte abbiamo il popolo senza più un’ideologia, pronto a cambiare opinione al battito di un ciglio. Dall’altra parte abbiamo i politici che con stessa rapidità passano dal trionfo alla disfatta e il cui unico obiettivo sembra essere quello di inseguire il benestare del popolo. In questi contesti sempre più labili rimane difficile promuovere politiche di lungo termine o pensare a riforme strutturali destinate a cambiare lo status di profonda crisi che il mondo occidentale sta attraversando.
di Antonio Zinilli