30 mila morti in Mare in 15 anni. Chi li protegge?

Sono cifre enormi, che spaventano. Gli immigrati che cercano di scappare da morte certa dal proprio Paese, la morte spesso la incontrano nel tragitto.

Il Mediterraneo è diventato una enorme tomba, una fossa comune, un buco nero.

La cosa ancor più spaventosa dei numeri è che, della maggior parte delle vittime, non si conosca l’identità.

Cosa spinge una donna incinta ad imbarcarsi alla volta dell’ignoto? Cosa spinge dei genitori a far salire i propri figli su un barcone diretto non si sa dove, guidato da non si sa chi?

La disperazione.

La consapevolezza che, benché pericolosa, quella sia la loro ultima possibilità.

Secondo i dati UNICEF, nel 2017 sono morti più di 400 bambini in mare.Questo succede perché non sono disponibili per loro percorsi migratori sicuri e regolari.

Solo nel 2017, 15mila bambini non accompagnati hanno raggiunto le coste italiane via mare, su barconi gestiti da chissà chi. Non è possibile che così tanti bambini debbano rischiare la propria vita per salvarsi ed avere una speranza per il futuro.

Perché l’Europa non fa qualcosa, almeno per loro?

Perché non viene istituito un programma di protezione per questi minorenni, che li aiuti a scappare dal proprio Paese in guerra, tutelando quantomeno la loro sopravvivenza?

Come si può essere così ciechi ed indifferenti alle centinaia di foto di cadaveri di bambini morti in mare? Non bisogna per forza essere genitore per capire cosa si provi a dover lasciare andare un figlio in balia dell’ignoto, con la consapevolezza che, comunque vada, non ci sarà più l’occasione di rivedersi.

Ma forse, se esistesse un programma che garantisse a quei genitori disperati che i propri figli staranno bene e non rischieranno la vita, ci sarebbe una consapevolezza diversa. Forse questo sarebbe anche più importante degli “aiuti” di cui tanto parlano i politici.

Questo vorrebbe dire agire con umanità per il bene dei bambini, della società futura.

 

di Ludovica Morico

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