Conferenza sul clima, il sovranismo ostacola l’accordo
Se c’è un luogo dove in questi giorni dovrebbe concentrarsi l’attenzione del mondo, quel luogo è Katowice, nella parte sud-occidentale della Polonia. La Polonia, che è stata tra le prime nazioni a fare da apripista a quei movimenti sovranisti ormai diffusi in tutto il mondo, ha ospitato il summit annuale delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico, il cosiddetto COP 24. La pressione mediatica è, tuttavia, rimasta bassa soprattutto a causa delle modeste probabilità di un accordo significativo che erano già evidenti dalle premesse.
La Conferenza delle Parti (COP), che in passato aveva portato all’approvazione del Protocollo di Kyoto e all’accordo di Parigi, si è tenuta dal 3 al 14 dicembre. La 24esima edizione, che ha ospitato tra gli altri i ministri di 130 paesi, era considerata un nodo cruciale per la lotta al cambiamento climatico perché aveva l’obiettivo di rivedere gli impegni dei singoli paesi sulla riduzione delle emissioni di CO2. La difficoltà di trovare un compromesso è, però, immediatamente parsa evidente. Durante la preparazione del documento finale, quattro paesi (Stati Uniti, Arabia Saudita, Russia e Kuwait) si sono opposti alla frase per la quale si diceva che la Conferenza dava “il benvenuto” al rapporto dell’Ipcc, gruppo scientifico dell’Onu sullo studio del cambiamento climatico. La ricerca lanciava un allarme pesante rivedendo al rialzo le stime dell’aumento delle temperature mondiali, dal + 1,5 gradi previsto negli accordi di Parigi ad un aumento di 3 gradi. I quattro paesi avrebbero preferito la formula di “prendere nota”, e alla fine si è arrivati alla decisione di omettere il riferimento al rapporto. Le nazioni produttrici ed esportatrici di combusti fossili hanno chiaramente ostacolato l’implementazione di misure più vincolanti. Simbolico è il ruolo della Polonia, così com’è simbolica la scelta di organizzare qui la Conferenza per la terza volta. Qui lavorano la metà dei lavoratori del carbone dell’Unione Europea. La Polonia, infatti, è tra i primi dieci paesi al mondo per riserve di carbone e da questa fonte ricava l’ottanta per cento dell’energia che consuma.
Dalla conferenza è venuta fuori l’ovvietà che i paesi esportatori di combustibili inquinanti come gas, petrolio e carbone, difficilmente appoggeranno un accordo che limiti l’uso di queste fonti energetiche. Se un accordo stringente non sarà raggiunto, il mondo scoprirà che la somma degli interessi particolari dei singoli paesi non equivale all’interesse dell’umanità come specie. Eppure, il cambiamento climatico non è solo una minaccia per il futuro recente ma già una realtà per molti paesi, soprattutto quelli in via di sviluppo. “Nel nostro paese”, afferma un’attivista ugandese presente a Katowice, “abbiamo lunghi periodi di siccità e allo stesso tempo alluvioni. La siccità significa che le comunità non possono coltivare i raccolti e quindi soffrono periodi prolungati di fame. I bambini non possono andare a scuola perché le famiglie senza raccolto da vendere non possono permetterselo. Se non ammettono che l’impatto è grave, il mondo non può vedere le nostre sofferenze. Non è giusto e non c’è giustizia climatica”.
di Pierfrancesco Zinilli