Lo spettro della povertà

Uno spettro si aggira per l’Europa. Lo spettro della povertà, seppur relativa. Ovunque i cittadini risentono della riduzione del proprio reddito e incolpano governi e tassazione.

Un disagio – a lungo ignorato dai “partiti moderati” e che ha fatto la fortuna elettorale dei movimenti populisti – che ora sembra arrivato a fare a meno di ogni rappresentanza.

In Francia, nelle ultime settimane, le manifestazioni dei gilet gialli, spesso degenerate in violenze, hanno provocato una seria crisi politica. La miccia è stata accesa dall’annuncio di un rincaro delle accise: 7 centesimi sul gasolio e 4 sulla benzina ma, immediatamente, i motivi si sono ampliati e confusi.

La protesta, partita dalle aree rurali e che accoglie temi di destra e di sinistra- dalla tassazione ritenuta eccessiva, alle disuguaglianze, all’avversione verso il presidente Macron – sembra soprattutto un veicolo di sfogo .

Il presidente è accusato di favorire le élites e di disinteressarsi dei più poveri. La misura più contestata è l’abolizione dell’ISF, la tassa sulla ricchezza, che è costata al bilancio pubblico tra i 3 e i 5 miliardi di euro. Contestualmente, però, il governo ha anche abolito tagliato, per 16 miliardi, la tassa sugli immobili al 60% dei 37milioni di contribuenti e varato aiuti per 40 miliardi in crediti d’imposta per artigiani e piccole imprese.

C’è poi da considerare che, in Francia, il 43% dei contribuenti è considerato incapiente, cioè non paga le imposte sul reddito, mentre il 70% del gettito proviene dal 10% della popolazione che dispone di un reddito superiore ai 50mila euro.

E allora, se le fasce di reddito più basse non sono per niente tartassate, ma, comunque, il loro reddito disponibile si è contratto, il vero problema sta nell’impoverimento e non nella tassazione: chi protesta ha ragione nel lamentare un peggioramento delle condizioni di vita ma sbaglia nell’individuare la causa.

I partiti e movimenti populisti, da parte loro, individuano l’origine dell’impoverimento nell’immigrazione e si propongono di affrontarlo con politiche razziste e con un aumento del deficit e del debito pubblico.

Dove queste proposte sono arrivate al governo, però, non sono state in grado di “abolire la povertà”.

Nel frattempo, i cosiddetti partiti moderati appaiono incapaci di inquadrare il problema, come dimostrano le continue rivendicazioni per limitatissimi aumenti del Pil. Costoro ignorano forse che la crescita, specie se contenuta, non incide sul reddito disponibile?

Priva di prospettive e risposte ecco, allora, che la frustrazione s’incanala verso movimenti apolitici e rabbiosi.

Una seria classe dirigente, moderata o radicale che sia, dovrebbe innanzitutto riconoscere che l’impoverimento delle famiglie dipende da un’ingiusta distribuzione degli utili prodotti dal sistema economico.

Certo, le misure che un governo può adottare per intervenire su una questione tanto complessa sono limitate ma il primo passo, per potersene occupare, è riconoscere il problema.

Senza un’ampia presa di coscienza, lo spettro della povertà continuerà ad alimentare i partiti populisti e i movimenti antipolitici incapaci, con le loro semplificazioni, di offrire soluzioni.

Quello della ridistribuzione, in un’economia globalizzata, è un tema che richiede soluzioni sovranazionali e, visto lo stato di conflitto sui temi economici tra i grandi attori globali e il diffondersi di ideologie sovraniste, sarà difficile trovare una soluzione. A oggi solo l’UE, l’odiata UE, pone tra gli obiettivi di riforma del WTO, l’organizzazione mondiale del commercio, anche le questioni sociali e retributive.

Nel nostro continente, le spinte popolarii possono indurre i Governi, ma soprattutto l’UE, a occuparsi delle cause profonde dell’impoverimento e non solo a lenirne i sintomi.

In mancanza di radicali interventi strutturali ci aspettano anni contrapposizioni sociali sempre più dure ma incapaci di risolvere il problema.

di Enrico Ceci