Zingara, prendi questa mano

Bisognerebbe scendere in metropolitana portando con sè un pezzo di cielo azzurro, aprirlo sulla testa come si fa con un ombrello, per colorare l’umore triste del sottosuolo. Il grigio dell’underground, quello dei saliscendi sotterranei, più che una tinta è uno stato d’animo: ha a che fare con un certo odore, con l’indifferenza e la fretta, con un umano ondeggiare silenzioso simile a quello dei topi nelle tane sotto terra; il grigio della metropolitana è la somma di certe disattenzioni, certe trascuratezze e certe aspettative mancate che sono la cifra distintiva di tutti i tunnel ferroviari, con quella luce elettrica che non si spegne mai, a metà tra l’eterna fiamma dell’inferno e la lampada della miniera.

La camicia bianca della zingarella che scende le scale di corsa e s’infila veloce sulla carrozza della metropolitana è un riflesso di sole e di colore nel bigio dei muri sporchi, un lampo che dura istante: le porte soffiando si chiudono, il treno sotterraneo si immerge nel buio portando con sè la piccola ladra. Scenderà due fermate dopo, impunita,con la stessa fretta e con un portafoglio rubato nascosto da qualche parte, tra le pieghe della sua gonna a fiori o sotto la camicia bianca. Bianca come la camicia della zingara di Caravaggio, quella del quadro della Buona Ventura, quella che, per intenderci, per anni abbiamo visto sulle 100.000 lire, quella che, nel legger la mano del giovin Signore, sorridendo gli sfila l’anello: allegoria della fiducia tradita dall’inganno.

La tradizione vuole che Caravaggio abbia scelto per modella una vera zingara di passaggio davanti al suo studio e ”condottala all’albergo la ritrasse nell’atto di predire l’avventure”.. Da Caravaggio in poi, e molto prima di Caravaggio, è come se un mondo senza le zingare non sia mai esistito. La giovane ladra della metropolitana è la copia, ma anche l’origianale di quella del quadro.

 La zingara è l’icona del furto di basso cabotaggio. Ruba veloce e se ne va, fugge altrove. E quell’ ”altrove” è la parte del ritratto della zingara che manca al quadro, alla cronaca, al luogo comune. Basterebbe guardare con più attenzione qualche fotografia, qualche immagine filmata dei campi rom per vedere quello che non vogliamo sapere: dove torna la zingara quando risale le scale della metropolitana? Com’è il letto dove dorme, di che cosa sono fatte le pareti della baracca dove vive, i piedi del tavolo dove mangia? Dov’è che si innamora e fa l’amore, dov’è che mette al mondo i suoi figli e dov’è che piange, quando piange? Di quanti mali è fatto il suo tempo, quanta la polvere, il fumo che respira, quanta la sete, e dove appoggia la sua camicia bianca quando si sveste?

La cronaca di questi giorni insiste sui pregiudizi, tende a strumentalizzare gli zingari per creare tifoserie. “Gli zingari rubano, sono sporchi, sono troppi, devono tornare a casa loro”. La comunità nomade in Italia conta 150-170.000 persone, circa lo 0,23% della popolazione. Di questi, 70.000 sono a pieno titolo cittadini italiani. Circa 100-80mila di loro vive in case o appartamenti tradizionali.

Erano nomadi, una volta, gli zingari. Adesso ad abitare su case mobili sono rimasti meno della metà e di strada ne fanno poca: viaggiano in tondo, attorno alle città, muovendosi da uno sgombero forzato all’altro, per centri concentrici nella geografia del rifiuto. Stazionano, se possibile, nei campi di periferia: non hanno patria, nè lavoro, non hanno diritti, rappresentano il topos dell’ultimo, del reietto. Abitano tra i rifiuti e di rifiuti vivono: recuperano rame bruciando cavi elettrici, bruciano pneumatici e immondizia per conto di italiani che evitano così il costo elevato dello smaltimento dei rifiuti speciali. Rubano, si ammalano, non vanno a scuola, muoiono di faide, di roghi e di freddo.

 La qestione Rom viene affrontata da anni in condizioni di emergenza costante, i fondi messi a disposizione dalla Comunità Europea fanno gola a molti. I soldi che restano sono impiegati più per la lotta al degrado (sgomberi forzati) che per l’integrazione. L’ultimo rapporto del comitato per i diritti Umani delle Nazioni unite chiede a Roma di “revocare tutte le misure restrittive imposte all’interno degli insediamenti rom, perché segreganti”. L’ondata xenofoba e razzista cresce a dismisura. Nella storia gli zingari e gli ebrei sono stati i primi a pagarne le conseguenze. Non è più chiaro che cosa è normale e che cosa non lo è. La sorte degli zingari è un’incognita inquietante, o forse è nascosta nelle pieghe delle loro mani.

Dammi questa mano zingara, dimmi pure che futuro avrai.

 di Daniela Baroncini

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