Ricordi Gallipolini

Ho parlato con Antonio Barba, gallipolino di vecchia data. E’ stato un peccato averlo conosciuto solamente il giorno prima della mia partenza. E’ stato un peccato anche per lui. Glielo leggevo negli occhi. Voleva portarmi in mare, in apena, pur sapendo che non è più lo stesso della sua gioventù.Mi son chiesto com’era ai suoi tempi, con un accenno di nostalgia di un tempo mai vissuto. Voleva mostrarmi il tramonto che si ammira da queste parti. Ma io l’avevo già visto: una sfera rossa ben definita sopra la città, in un mare argentato. Non era più accecante, come se avesse stretto un patto segreto con i miei occhi. Un spettacolo cominciato a Capo d’Otranto, dove avviene la prima alba d’Italia. Non si è risparmiato il buon Antonio. Mi ha detto che la maggior parte dei giovani “arriva qui bianca, e torna bianca”. Che quel sole non li ha scaldati, perchè impegnati a far mattina nelle discoteche. C’è ben altro da fare in questo posto, mi ha detto. Gli ho creduto prima ancora di conoscerlo.

Porto con me un regalo di Valentina. Una dimostrazione di amore incondizionato. Mi ha invitato all’interno di una chiesa per incontrare il suo Dio. Sono dunque entrato per un saluto, e per spiegarle che ho una qualche forma di allergia a tutte le religioni. Non ha risposto. Mi ha donato la sua collanina: un angelo custode in argento a cui ora rivolgo la parola. Se grido il mio dolore da solo o in compagnia, se vengo ascoltato o parlo al vento, non lo so. Ma ora credo un po’ di più nei gesti. Ho portato il mio angelo custode in un tratto di costa rocciosa che sembrava la miniatura del Parco Nazionale degli Tsingy di Bemaraha. Una roccia così puntellata da ferirmi ovunque mi appoggiassi. Lì però si sente l’essenza del mare, udibile solo quando tutto tace. Poi un rombo, una vibrazione surreale proveniente dai fondali. A seguire una paura primordiale, la mia. Volevo fuggire. Sei un cagasotto, mi son detto. Sono rimasto. Un cagasotto erranteè una definizione meno frustrante e più veritiera, ho pensato. Sono scappato.

Per la rubrica “RacConti di luce”, di Fabio Conti

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