Caso Regeni: la Procura va avanti, il governo resta al palo

Ciclicamente si torna a parlare del caso Regeni, ed è un bene. Peccato però che non sia quasi mai per iniziativa della politica, e anzi la politica – fosse per lei –  lascerebbe volentieri cadere la vicenda nell’oblio. Perché l’Egitto è strategico, l’Egitto è importante per le questioni migranti e terrorismo, per le relazioni con gli altri paesi del Nord Africa, per l’export, per l’ENI, e via dicendo. E infatti in questi quasi tre anni non è stata mai la politica italiana a farsi promotrice di prima istanza della ricerca della verità presso il governo di Al Sisi, sono sempre stati altri – ora la magistratura, ora le associazioni, ora la famiglia del giovane ricercatore – a cercare di fare breccia nel muro di gomma innalzato dal Cairo.

Anzi, la politica in certi casi ha remato contro, come quando Gentiloni decise, a Ferragosto dell’anno scorso, di far tornare il nostro ambasciatore in Egitto dopo che nel 2016 – non appena fu chiaro che si trattò di omicidio di Stato – il nostro governo aveva sospeso le relazioni diplomatiche con il paese nordafricano.

A volte ci hanno provato le istituzioni a chiedere la verità (come nel caso della recente presa di posizione di Roberto Fico che, in qualità di presidente della Camera, ha dichiarato che finchè non sarà fatta chiarezza sull’accaduto il ramo del parlamento da lui guidato interromperà le relazioni con l’omologa assemblea egiziana), ma gli appelli delle istituzioni sono, per loro stessa natura, limitati all’alveo della simbolicità.

E allora non resta che sperare nel lavoro – quello sì tutt’altro che simbolico – della Procura di Roma, che la settimana scorsa ha iscritto nel registro degli indagati cinque agenti dei servizi segreti egiziani. Perchè se ci si aspetta che lo faccia la magistratura egiziana, stiamo freschi. L’accusa mossa dal pool guidato dal pm Colaiocco agli alti ufficiali del Dipartimento di sicurezza nazionale e dell’Ufficio investigativo del Cairo è quella di concorso in sequestro di persona. Un sequestro al quale, stando alle parole della legale della famiglia Regeni, Alessandra Ballerini, potrebbero aver preso parte  molte più persone – almeno 40 -, tutte a vario titolo coinvolte nel rapimento, nella tortura e nell’uccisione di Giulio Regeni.

di Valerio Di Marco