Francesco u cambusiere

Cima Alta, un vecchio rifugio abbandonato di pastori, in disuso da troppo tempo ormai, così mi veniva da pensare ogni volta che gli passavo dinnanzi per raggiungere la Madonnina. Si, tante volte, perché la funivia era chiusa e per raggiungere le Vette del Gran Sasso o arrampicarti alle ferrate Ventricini, Danesi o Ricci, dovevi passare li.

Dal rifugio Cima Alta inizia l’ascensione verso gli orizzonti del paradiso dove solo gli Angeli, ma anche le aquile si arrischiano di volare. Noi Wild Mountain Reporters (Claudio, Simone, Riccardo) non siamo Angeli, non siamo aquile, ma ci piace volare o quantomeno arrampicarci in alto fin sopra le nuvole, dove il cuore smette di battere ed inizia a pulsare al ritmo del vento gelido e delle sferzate di neve. Ogni volta con la malinconia di incontrare un vecchio rifugio abbandonato. Ma alla fine della scorsa estate, sorpresa! Dal comignolo di Cima Alta il fumo bianco della legna di cerro, l’odore della legna spaccata e impilata. Inconfondibile. Da un lato la l’immensa faggeta, dall’altro il fumo del comignolo, sopra a tutto il venerando massiccio del Gran Sasso.

Ci avviciniamo, dopo che Simone e Riccardo avevano preso confidenza con Rita, un magnifico pastore abruzzese, che non capivamo ancora cosa ci faceva in quella terra selvaggia. Apriamo la porta del rifugio e tra un nugolo di polvere di segatura compare la fisionomia bonaria di “u cambusiere” così lo conoscevo quando lo incontravo al Franchetti. Sei “u cambusiere” o il suo fantasma? Ciao, sono Francesco u cambusiere. Che cazzo fai qui sperduto. Ristrutturo il rifugio. Tra una settimana apro per la stagione invernale. Francè, ma qui non c’è nessuno. Ci sto io, e c’è Rita, c’è il bosco, migliaia di faggi che respirano con me e mi fanno compagnia. U cambusiè tu sti fore de cocce ( in dialetto: stai fuori di testa). A quel punto, Francesco si ferma, posa il seghetto, si sgruma di dosso una montagna di polvere, si mette una mano sulla barbetta rossa, molto Irisch, con gli occhi profondi che se ci entri dentro non puoi più uscirne, mi guarda e mi dice: ma tutti quelli fermi a quest’ora ai semafori che litigano per la precedenza, sta bbune de cocce? Lo guardo, vorrei entrare in quegli occhi per non uscirne più, oppure aggrapparmi ai riccioli di quella strana barbetta molto Irisch, e gli dico: fratè ti raggione sti meje ecche. Bevomece nu bicchiire de vine rosce.

Così ho fraternizzato con Francesco, il mitico “u cambusiere” dalla barbetta molto Irisch e dal cuore molto montanaro: forte e gentile. Il rifugio ha preso forma, è accogliente, caldo, il vino Montepulciano non si discute, la cucina semplice ma genuina e poi Francesco la sincerità del cambusiere, che se ti accoglie ti coccola e non ti lasceremo andare via e tu rimarresti li, con lui, in compagnia dei faggi che respirano e raccontano storie degli amori consumati su queste montagne così dure ma così amabili.

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