Per una felicità prossima ventura, forse.

L’Europa ha votato, finalmente. E il risultato complessivo mi pare che abbia confortato l’idea di un continente che crede ancora in un cammino comune.
Non male, si poteva temere una maggioritaria presenza sovranista, caratterizzata dallo slogan: “prima noi”!
E questo non si è verificato. Ma da parte di tutti si è parlato di cambiamenti, di minore austerità, di sforzi unitari nel campo fiscale, in quello della difesa e della politica estera, in quello delle iniziative economiche.
Ma sempre di una società di donne ed uomini che ha per fondamento la logica della crescita del Pil, e cioè del profitto.
E sarà necessaria un esame attento del voto per diverse categorie, in particolare quello delle donne e dei giovani, che più hanno da rivendicare, per poter pensare al futuro.

Nel giugno 2016, con il voto Brexit inglese, l’analisi dei risultati mostrò che il “no” era stata la scelta prevalente degli acculturati, dei giovani e nelle grandi città, mentre il sì era prevalso tra gli anziani e nelle campagne. Un risultato comprensibile, in un paese che era uscito vincitore dalla guerra, che aveva un passato di cui essere orgoglioso, che era in termini economici il terminale dell’ex impero britannico e la culla della finanza mondiale.
Da noi il voto del passato è stato in un paese sconfitto, con una dittatura da dimenticare, che ha saputo realizzare, partendo dalle macerie, una presenza importante tra le 10 nazioni capofila della economia mondiale. Ha sempre avuto, quindi, un esito derivato dalla politica nazionale, con poca attenzione alla nascita e allo sviluppo nell’economia di potenze continentali, in America e in Asia, dal peso schiacciante nei confronti della economie nazionali.
Era un voto bloccato, con spostamenti percentuali tra due successive elezioni di qualche decimo di punto. Ma il voto di oggi è diverso, chi ha settanta anni è nato già dopo il fascismo, dopo la seconda guerra mondiale.
Siamo nel terzo millennio.Ed è successo che, nelle elezioni del 2013, il Movimento 5 Stelle scompaginasse i vecchi assetti con un risultato incredibile, oltre il 25% dei suffragi.
Si creò un impossibile equilibrio, con tre raggruppamenti politici di pari peso e con una innaturale alleanza tra centrodestra e centrosinistra (governo Letta) o tra centrosinistra e appoggi vari (governo Renzi, con patto del Nazareno e/o venduti del tipo Alfano o Verdini).
Sono stati governi che nell’ambito della difficile crisi internazionale hanno dato una risposta assurda, con il risultato di avere i ricchi più ricchi e i poveri più poveri.
E finalmente qui da noi sono saltati i vecchi partiti, quello del pregiudicato di Arcore e quello della meteora Renzi, che con un risultato del 41% alle elezioni europee del
2014 – con il centrodestra che perdeva il 22 – si era illuso di avere un consenso definitivo, smentito con tutte le successive elezioni amministrative, regionali (2015) e referendarie (2016).
I nuovi orientamenti degli italiani (quelli votanti, perché ormai si è registrato progressivamente un forte astensionismo, dell’ordine del 40 – 50 %) sono emersi nelle ultime elezioni politiche. Nel 2018, infatti, la Lega, ora nazionale, non più Lega Nord, raddoppiava i consensi del passato (8% nel 2008) e superava con il 17% contro 16% Forza Italia, ormai in piena rotta, che nel 2008 aveva conseguito il 37%.
Con il Partito Democratico al 23% (33% nel 2008) ed un parlamento senza maggioranze si arrivava poi all’attuale governo M5Stelle-Lega.
Con le ultime elezioni europee, qui da noi si sono confermate molte cose, come la forte mobilità del voto e il suo stretto riferimento solo alla politica interna, che ha comportato per il M5Stelle una pesante crisi di consenso, della quale non è facile prevedere gli sbocchi. Si è confermata anche la debacle di Forza Italia, la attuale assoluta egemonia della Lega sulla destra italiana ed una probabile impossibilità di poter avere, con nuove elezioni, un parlamento con maggioranza omogenea.
Non è una prospettiva piacevole. In Spagna si è votato più volte negli ultimi anni senza avere un risultato e utile maggioranze certe..
Vedremo cosa avremo da noi

Ma certamente, in ogni caso, saremo ancora nella logica del Pil, cioè di una società basata sul profitto. E naturalmente ci sono tanti modi di concepirlo.
C’è il Pil “finanziario”, che si realizza nel mondo del capitale, virtualmente, a prescindere dalla produzione e dal fattore umano.
C’è il Pil “economico”, che è l’indicatore di una crescita produttiva a favorire i consumi. Si pensi alla spinta maniacale nella realizzazione di autovetture, rinnovate nella sicurezza, nell’aspetto, nella alimentazione del motore….
C’è il Pil “sociale”, che può comprendere una ridistribuzione della ricchezza, che segna la crescita di disponibilità individuali per il consumo.
Ma il Pil non è, in ogni caso, un indice per le donne e gli uomini di tutto il modo che mi auguro possano vivere in una società solidale, che garantisca a tutti uguali diritti e doveri.
Lo disse Bob Kennedy nella primavera 1968, tre mesi prima di essere ucciso durante la sua campagna per la presidenza Usa:
… “Il Pil comprende anche l’inquinamento dell’aria e la pubblcità delle sigarette” …”cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari” …”non comprende la bellezza della nostra poesia o la solidità dei rapporta familiari”… E concludendo: “Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta”.Se non lo conoscete, quel discorso, cercatelo. Potrete pensare quale differente politica, per gli Usa e per tutto il mondo, sarebbe stata possibile.

Si è parlato di Fil “Felicità interna lorda”, sperimentata in un piccolo stato asiatico, il Bhutan, e auspicata dal Dalai Lama.
L’Ocse “Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo economico” ha definito e pubblicato una serie di indicatori: “Better Life Index” e l’Onu prodotto una analisi: “La felicità: verso un approccio olistico allo sviluppo”.

Sono tutti studi, analisi, speranze. Ma qualcuno fa qualcosa di più.
Leggo, da “Il Sole24Ore” del 19 maggio, a firma Vittorio Pelligra:
“Cinquecento giovani da tutto il mondo, metà imprenditori, l’altra metà economisti, tutti rigorosamente under trentacinque, si ritroveranno ad Assisi dal 26 al 28 marzo del prossimo anno per partecipare a “The Economy of Francesco”. A convocarli è stato, qualche giorno fa, proprio Papa Francesco con una lettera nella quale propone un patto per “cambiare il mondo”, per pensare e realizzare insieme un sistema economico più giusto, inclusivo e sostenibile.”
Capisco che il 19 maggio era il culmine della campagna elettorale.
Ma se qualcuno, al governo, seguisse il lavoro di Assisi, se conoscesse o rileggesse il discorso di Bob Kennedy … Allora forse …

di Carlo Faloci