Un ricordo dell’attentato dedicato a chi è nato dopo il 1992

Scrivo con la mia memoria, con lacrime sparse, con un forte desiderio di giustizia. Oggi che sappiamo chi materialmente ha commesso l’attentato di Capaci, nel 1992, quello in cui morirono il giudice Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo, gli agenti di scorta Vito Schifani, Rocco Di Cillo e Antonio Montinaro, al puzzle continua a mancare un tassello. Il nome dei traditori, il nome di chi ha reso vana la presenza della scorta, permettendo a Cosa Nostra, di mettere fine alla vita di cinque persone, in una esplosione capace di devastare un intero tratto di strada.
Scene di guerra, volute, cercate, per far paura, per far pensare a ogni italiano che Cosa Nostra era forte, più forte anche dello Stato, di quello Stato che trattava con Cosa Nostra.
Un boato che cancellò la vita di uomini giusti, di persone che volevano combattere realmente la mafia, con le sue collusioni e corruzioni. Il giudice Falcone aveva un istinto sopraffino e non riuscivano a metterlo in un angolo, non riuscivano a comprarlo, non riuscivano a fermarne le indagini. Sapeva servirsi dei collaboratori di giustizia, sapeva come seguire la puzza lasciata dai soldi. Era un uomo straordinario sotto ogni punto di vista. Catturava l’amore e l’attenzione di chi lo ascoltava, di chi riponeva in lui ogni speranza di riscossa.
Con la sua morte, con quella di poco successiva di Paolo Borsellino, Cosa Nostra con i suoi collaboratori ha ottenuto il risultato cercato. Uccidere chi realmente poteva metterla in difficoltà, chi la stava scardinando dall’interno.
Un grande uomo e una grande squadra di collaboratori.
In alcune foto è ritratto con uomini del calibro di Ninni Cassarà, Beppe Montana, Antonino Caponnetto. Il pool antimafia creato da quest’ultimo è stata la grande occasione di riscatto per la Sicilia e per l’Italia tutta. Uomini capaci e in grado di coordinarsi tra di loro per un obiettivo comune.
Molto sangue ha bevuto la terra. Molte lacrime e un dolore che non finisce accompagnano il ricordo di un magistrato (e non solo di Falcone) di cui nelle scuole si dovrebbe sempre parlare, perché chi è nato dopo il 1992, oggi ha 27 anni o ancora meno e dovrebbe comprendere quali sono le ragioni per cui è indispensabile avere come modelli di riferimento figure generose, fino all’estremo dono della vita, ricche di ideali e valori di onestà, lealtà, voglia di lottare contro ogni maledetta mafia, corrotta e corruttrice.
Il dolore per il ricordo è reso più grave dal pensiero che oggi non si combatte con vigore un fenomeno che ha in mano l’intera penisola, con il nome di ‘ndrangheta, camorra, corona unita, cosa nostra. E pochi coraggiosi se ne dolgono e le combattono, coi fatti.

di Patrizia Vindigni