E mangeremo la plastica che stiamo seminando sulla Terra …

Pezzi di plastica non brillano sotto il sole, ma si frammentano infinitamente, diventando piccoli al punto da sfuggire ai nostri sguardi. La nostra grande illusione è che essi spariscano ritornando elementi integrati nell’ecosistema. In realtà la plastica può solo diventare, nel suo frantumarsi, microplastica che, come polvere sottile, leggera, si insinua in ogni dove, riempiendo i campi, i mari, le acque dei fiumi. E noi continuiamo a produrla, a bere l’acqua in bottiglie di plastica, a riunirci in felici conviviali usando piatti, bicchieri, posate, contenitori di plastica.
E’ giusto sapere che occorreranno centinaia di anni perché questa plastica si distrugga completamente.
Plastica, plastica, plastica ovunque, usata per ogni oggetto. Abbiamo assicurato e stiamo assicurando al pianeta centinaia di anni di inquinamento. Stiamo vincendo la partita contro la vita, in favore di una morte, che sorniona ci osserva da lontano.
Alcune nazioni del mondo ne riversano nell’ambiente più di altre. Sono in prevalenza Stati asiatici ma questo non esime nessuno dalla grande responsabilità di questo inquinamento che sta trasformando i nostri mari in contenitori simili a una immensa gelatina senza possibilità di vita futura.
Indonesia, Cina, Thailandia, Vietnam e Filippine sono i grandi imputati di questo terribile fenomeno, ma ognuno di noi, ogni volta che usa un oggetto di plastica, di cui potrebbe fare a meno, è corresponsabile dell’uccisione del pianeta Terra. Ogni volta che non differenziamo, ogni volta che, per pigrizia, beviamo da un bicchiere di plastica, ogni volta che lasciamo in giro un sacchetto di spazzatura, siamo degli inquinatori. Stiamo tutti collaborando nella creazione di un pianeta nel cui mare, entro il 2050 la biomassa avrà un peso inferiore alla plastica in esso dispersa.
Il pianeta lo stiamo soffocando, uccidendo. Non più lentamente, ma a passi rapidi, rapidissimi.
E ben poco si è ottenuto al termine della riunione del G20, che ha visto come protagonisti i rappresentanti di Arabia Saudita, Argentina, Australia, Brasile, Canada, Cina, Francia, Germania, Giappone, India, Indonesia, Italia, Messico, Regno Unito, Russia, Stati Uniti, Sud Africa, Sud Corea, Turchia, Unione Europea.
L’accordo concluso non ha infatti carattere vincolante per nessuno degli Stati partecipanti che condivideranno strategie, piani d’azione, ma nessuna effettiva riduzione nella produzione della plastica. Nel 2019 quindi riusciremo ancora a gettare nei mari i nostri 8/10 milioni di tonnellate di residui inquinanti, come già avvenuto negli anni precedenti. Con buona pace di chi quel mare lo abita, lo respira, subendone le conseguenze.
Non mancano nel documento i buoni propositi. Si promuove la ricerca di prodotti ecosostenibili, si parla di miglioramento nell’uso delle risorse naturali, di sviluppare la gestione dei rifiuti.
Non si prendono, però, posizioni determinate. Non si fissano periodi a breve termine entro i quali ridurre in modo drastico la produzione di plastica, proibendola. L’economia e interi settori industriali ne risentirebbero sicuramente in modo grave, quindi è meglio morire soffocati dalla plastica, che chiedere alla gente di rinunciare all’uso indiscriminato di questo polimero indistruttibile.
L’accordo raggiunto non è vincolante perché c’è troppa disparità tra gli Stati partecipanti, troppa è la differenza di ricchezze. E felice notizia finale: nemmeno Il consiglio europeo ha raggiunto una intesa sul clima al 2050 a causa del veto posto da alcune paesi dell’est. Entro il 2050 il proposito era quello di arrivare a zero emissioni di CO2 ma Repubblica Ceca, Polonia, Ungheria e Estonia si sono opposti all’indicazione di una data. Si tratterà ancora per ridurre l’impatto sul sistema economico, considerato più importante.
Se il pianeta resiste, forse ce la faremo.

di Patrizia Vindigni

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