Revenge porn, quel tema che ha salvato Tamara

Tamara è stata salvata da un tema e la dinamica degli avvenimenti è davvero inquietante, come sequenze di un film e la suspance che cresce in attesa di approdare al finale. Ma non si tratta di un film, ciò di cui parliamo è un’atroce realtà sempre più diffusa specie tra gli adolescenti. Un tema ritenuto per il titolo stesso, da una ragazzina quindicenne, insulso e quasi offensivo.

“Raccontami il tuo sabato sera”. E qui Tamara si apre, si confida sapendo che ciò che dirà non verrà letto in tempo per salvarla, solo questa certezza le permetterà di raccontare. Ha già programmato tutto. E senza saperlo, quel tema, sarà la sua ancora di salvezza.

Avrebbe potuto scrivere altro, inventarsi un sabato sera allegro, volare con la fantasia. Avrebbe potuto mentire e tutto ciò che aveva programmato sarebbe riuscito come previsto. Aveva già scritto, nella sua mente, la “fine”. La sua fine.

Il suo tema invece inizia così:

“Prof, stavolta mi uccido. Non so perché le scrivo queste cose. Lei non mi ha mai ispirato fiducia. Tra una settimana correggerà i compiti, come fa di solito: ma sarà troppo tardi. Le scrivo quello che ho intenzione di fare così la gente saprà perché Tamara G. si è tagliata la gola.

Davvero vuole sapere il sabato sera di una quindicenne? Il mio ultimo è stato quello che ha segnato la mia condanna a morte, quattro giorni fa. Era il compleanno di Igor, il mio amico del cuore, e ha fatto una megafesta nella sua villa.

Ho bevuto. Mi hanno fatto bere fino allo sballo, non so se fosse solo alcool. Poi… poi non ricordo più niente. Il dopo, quello che sarebbe stato per me vuoto e oblio, quello che è accaduto dopo io l’ho visto in un video diffuso sui social. C’ero io che giravo nuda per la casa. Igor e tre dei suoi amici hanno approfittato di me, mi hanno violentata come se non fossi mai stata una persona, una amica. Mi hanno usata come una bambola gonfiabile. Hanno abusato a turno di me mentre ridevano e riprendevano tutta la scena. Ridevano. Ridevano. Quelle risate non potrò mai dimenticarle. Il suono malato di quelle risate echeggia nella mia mente e mai me ne potrò liberare. Non potrò dimenticare di essere stata dimenticata in quanto persona. Poi hanno caricato il video sui social e i commenti… Li immagina i commenti? No Prof, lei forse non può immaginarli. Dicevano tutti che me l’ero cercata, che me lo ero meritato, che ero una puttana, una poco di buono perché se bevevo come una spugna allora… allora cosa potevo aspettarmi?

E’ da quattro giorni che non ho pace, non dormo, non mangio. Forse sono già morta? Ho provato solo un po’ di sollievo e una forma di leggerezza questa mattina quando, tra i tanti pensieri, ho capito che questo mondo non mi appartiene e che c’era solo un modo per uscirne fuori. Da questo schifo che mi sento addosso, da questa società così brutale per me. Non ho la stoffa per difendermi, a me manca il coraggio per vivere una vita così.

Quindi stamattina tra i tanti pensieri ne ho avuto uno e subito sono stata meglio. Ho pensato in modo serio, prepotente, di uccidermi. Sarà velocissimo. Sa Prof, ho cercato in casa il coltello più affilato. Non ce la faccio più. Forse hanno ragione loro e quello che non tollero non è tanto lo squallore degli altri… quanto il marciume che avverto dentro di me.”

La professoressa avrebbe letto quel testo dopo una settimana, se una serie di circostanze fortuite, non avesse voluto che in sala insegnanti le cadesse il plico delle verifiche. Nel riordinarle sommariamente l’occhio si fermò su quella frase scritta da Tamara e bastò quella per farle leggere il tema tutto d’un fiato, col cuore in gola.

Si precipitò in classe, era l’ora successiva alla sua. Aprì la porta come una folle, chiese dell’allieva. Il collega le rispose che aveva chiesto un permesso per uscire. La professoressa allora corse lungo l’interminabile corridoio che la separava dal bagno delle ragazze. Mai come allora la scuola le sembrò così immensa, vasta, sconfinata. Arrivò, chiamò la ragazza ma invano. Avanzò a passi lenti, controllando i vani aperti.

Deserto. Non c’era nessuno. Fino all’ultima apertura.

Tamara era lì, contro il muro, aveva già il coltello in mano e guardava la docente. Occhi spauriti e assenti che oscillavano tra disperazione e terrore.

Un acceso dibattito tra le due. Tamara che intima alla sua insegnante di andare via, che lei non può sapere ciò che sta provando, che non può dirle cosa è giusto o è sbagliato, che non è sua madre e anche se lo fosse stata era lei a dover decidere la sua fine. Solo lei.

La professoressa tenta di farla desistere, poi ricorda un episodio analogo accaduto tanti anni addietro ad una ragazza di Imola che si buttò dal quarto piano proprio perché era stata vittima della stessa violenza. Ricordò che ne parlarono in classe. Ecco… La donna le fece quel nome. Le disse che lei non aveva fatto niente di deprecabile, che erano altri a doversi vergognare, glielo stava chiedendo da madre…

Tamara, sentito il riferimento a quella ragazza, andò indietro con il pensiero. Ricordò. Allentò impercettibilmente la presa.

Disse solo: “La ragazza che si buttò giù sette anni fa”.

Gli occhi della professoressa si fecero lucidi, forse aveva trovato il modo per insinuarsi dentro di lei con delicatezza.

“Si Tamara, per una situazione simile alla tua, ricordi? Filmata a tradimento e il video diffuso. Ora la madre è un simulacro senza più lacrime.

Sai cosa le direbbe sua madre, se potesse? Che se ne deve fregare del giudizio altrui. Che quel video non vale niente, le ferite si rimarginano. Tutte. La abbraccerebbe stretta stretta e le direbbe che c’è un rimedio a tutto. Ma non può farlo… Non più ormai”.

Le lacrime scendevano silenziose sul volto di entrambe, mentre Tamara, senza volerlo, faceva scivolare la mano che impugnava l’arma. Se ne accorse la professoressa e fu un attimo. Si buttò su di lei e, con una potenza che non credeva di possedere, le strappò il coltello di mano e lo gettò lontano. Poi abbracciò fortissimo la ragazza, mentre le loro lacrime si mescolarono le une alle altre.

Era solo l’inizio, la donna lo sapeva.

Sarebbe cominciato un percorso lungo e difficile, che avrebbe coinvolto tutti. La famiglia, la scuola, i bulli. Ma Tamara non avrebbe più desiderato il baratro. Perché non sarebbe stata mai più sola.

E sarebbe stato solo un episodio terribile che con il tempo le avrebbe insegnato a selezionare le persone, fidarsi e diffidare, valutare gli altri e se stessa. Ci sarebbe stata una rinascita, ora lo sapeva. Era viva e lo sarebbe stata sempre di più.

di Stefania Lastoria

 

Print Friendly, PDF & Email