Centri antiviolenza: “Le botte del mio ex mi avevano uccisa, qui mi hanno salvata”

La violenza contro le donne sta diventando un tema sempre più attuale, ogni giorno leggiamo di questi atti brutali che spesso albergano proprio tra le mura domestiche, donne condannate a subire ogni forma di soprusi da “uomini” che forse un tempo amavano e dai quali spesso non riescono a fuggire. I numeri parlano chiaro e fanno paura, così come diventa rischiosa ogni forma di denuncia. E allora sopportano in silenzio, spesso per il bene dei propri figli. Nei casi peggiori questi contesti familiari malati sfociano nell’uccisione, brutale anch’essa, perché fino alla fine questi “uomini” non degni di tale appellativo, sfogano la loro aggressività con malvagità inaudita.

La testimonianza in questo caso è di una giovane ospite della Casa rifugio Valle di Comino.

Per raccontare la sua storia, simile a quella di molte altre, le daremo un nome di fantasia, perché è ancora indispensabile proteggere lei e il suo bambino. La chiameremo Alba, come una rinascita. Lei stessa si sfoga e narra la sua vicenda come se fosse tornata a nuova vita.

“La prima volta che sono uscita da sola dal Centro antiviolenza e non ho avuto il terrore di entrare in un bar a prendere un caffè, ho provato una gioia indescrivibile. Era il sapore della libertà. Il mio compagno mi aveva uccisa dentro, capite cosa voglio dire? Uccisa dentro… e tante volte ho sperato che lo facesse realmente. Ero arrivata al punto di pensare alla morte come alla fine delle sofferenze se non fosse stato per mio figlio. Poi in televisione ho visto quel numero di telefono, mi sono come svegliata da un incubo e ho deciso che dovevo salvare me e il mio piccolo.

Ho ventidue anni ma ne avevo diciannove quando lo conobbi. All’inizio non era così, anzi. Aveva la mia stessa età, lo vedevo con i suoi amici vicino la chiesa. Quando passavo mi diceva che ero la più bella, mi ha fatto la corte come si faceva una volta. Aveva attenzioni che gli altri ragazzi della sua età non sapevano neanche cosa volessero dire o significare per una ragazza, quasi un ragazzo di altri tempi. Mai una scortesia, piccoli regali, insomma mi ha fatto sentire importante. Quando uscivamo insieme non era come i suoi coetanei, se ne stava con me e null’altro poteva attrarre la sua attenzione. Mi sentivo una regina. Una donna fortunata.

Non avevo compreso allora che quella che mi sembrava una bella eccezione nascondeva in realtà una malattia.

Le violenze sono cominciate quasi subito. Mi ha fatto fare immediatamente un bambino perché sosteneva che così non me ne potevo più andare, gli appartenevo e quel figlio sarebbe stato un filo indissolubile che ci avrebbe legato a vita. Eppure nonostante le aggressioni sono andata a vivere con lui con la convinzione che cambiasse.

Invece questa gente non cambierà mai. Lo dico anche per le altre donne. Sono parassiti che lavorano sulle vostre fragilità e a poco a poco ti uccidono. Ti uccidono dentro. Non serve respirare se sei morta dentro.

Non potevo essere aiutata da nessuno. Mi teneva chiusa in casa, diceva che ero sola e avevo esclusivamente lui, nessun altro mi avrebbe voluta. Ha iniziato a minare le mie ultime certezze dicendo che ero brutta, che non valevo niente, per ogni sciocchezza come un piatto posizionato male mi picchiava. Tutto diventava motivo di violenza fisica e verbale. Ero soggiogata. Controllava le telefonate ma era così solo con me. Con gli altri invece si trasformava in modo positivo. Gentile e affabile con tutti, anche se avessi potuto parlare con qualcuno nessuno mi avrebbe creduta.

Poi, come ho detto, un giorno ho visto in tv uno di questi centri antiviolenza, ho iniziato a pensarci ma non potevo andarmene. Il giorno in cui sono scappata aveva tentato di pugnalarmi e mentre piangevo diceva al bambino di cinque mesi una frase che non potrò mai dimenticare.

<<Vedi come piange tua madre, quando sarai grande la picchierai anche tu>>.

Spero che mio figlio non ricordi. E’ stato allora che ho deciso di salvarlo perché non volevo che diventasse come lui.

Sono fuggita in caserma. Mentre lo denunciavo lui è arrivato, stava fuori con la macchina. Hanno capito che era pericoloso e mi hanno portato in un centro antiviolenza. Ricordo che tremavo dalla paura. Ero sola. Aveva ragione lui. Sola nel mondo con un bambino a cui badare. Arrivata al rifugio di Valle Comino invece ho capito subito che non ero sola e abbandonata, c’erano le altre donne che avevano vissuto la mia stessa storia, ho conosciuto persone provenienti da tanti posti lontani. E mi sono resa conto che l’esistenza delle altre, con sfumature e particolari diversi, era molto simile alla mia. Dio mio! Troppe donne che hanno buttato al vento anni e anni della loro vita, ferite dentro e fuori. Perché si può morire in tanti modi. E’ stato allora che mi sono sentita ricca di avere ancora la mia vita, mi sono sentita orgogliosa di essere scappata per salvare il mio bambino. A poco a poco ho ritrovato una piccola parte di autostima. Ora la mia vita… come è strano dire la mia vita… dicevo, la mia vita è cambiata. Esco da sola e vado a lavorare, penso a mio figlio. Per i primi cinque mesi la dote di autonomia dei centri Di.Re ha pagato la casa in cui vivo e le spese per il bambino, mi hanno aiutato a fare il servizio civile alla A.s.l., sono all’accoglienza e mi piace parlare con le persone.

Per il resto ho perso tutti. I miei sono separati e vivono in un paese a dieci minuti da lui. Non posso andarci. Lui invece è stato condannato a otto anni ma la cosa più importante è che ha perso ogni diritto sul bambino.

Qualcuno mi chiede se ho paura degli altri uomini, mentirei se dicessi di no.

E non voglio mentire mai più, neanche a me stessa.

Al centro mi hanno insegnato che non sono tutti così. Lui era così perché suo padre aveva fatto le stesse cose a sua madre e voleva farmi schiava come lei, era malato. Si ho ancora paura. Gli uomini mi vedono giovane, sono pure una bella ragazza, mi si avvicinano, ma io capisco che vogliono solo sesso e non mi interessa. Ci vorrà tempo, magari dubiterò anche di una brava persona, ma non voglio rischiare.

Si dice che se ti ustioni con l’acqua calda alla fine hai paura anche di quella fredda. Ma vorrei dire alle donne, a tutte le donne vittime di questi “uomini” che devono denunciare, trovare il coraggio per uscire dal baratro, quel coraggio ce lo abbiamo dentro di noi. Siate arrabbiate abbastanza da dire basta. Abbastanza da scappare urlando, abbastanza da ricostruire la vostra vita. Abbastanza da chiedere aiuto. Che non è fragilità quella ma una forma di coraggio estremo. E’ forse il passo più difficile ma dopo inizia la vita. Quella che avete dimenticato o peggio, quella che mai avete vissuto.”

di Stefania Lastoria

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