Neve e prosecco
Due recenti avvenimenti hanno finalmente fatto gioire i nostri politici, troppo spesso costretti a confrontarsi con fatti poco piacevoli: la conquista delle olimpiadi invernali del 2026 ed il riconoscimento delle “colline del prosecco” quale patrimonio UNESCO. Sala e Zaia erano finalmente uniti nell’esultanza, dimentichi dei loro dissapori politici.
D’altronde, come non essere orgogliosi e felici di così importanti successi in campo internazionale? E perché non abbandonarsi, per una volta, a gesti così umani, quasi da stadio?
In effetti, la loro gioia sarebbe stata maggiore, anche se velata di malinconia, se avessero considerato che hanno fatto appena in tempo. Nel senso che, con tutta probabilità, tra poco (già nel 2050, sicuramente, ma forse anche prima) non avremo più nevi alpine su cui organizzare olimpiadi, né i fertili vigneti che oggi rendono così meraviglioso il panorama dei colli di Valdobbiadene. Eh già, perché il riscaldamento globale avanza, nella più totale indifferenza da parte del mondo politico e di una buona fetta dell’umanità.
Non voglio, con queste affermazioni, guastare la festa a nessuno. Anzi, queste mie considerazioni necessitano di qualche parola in più di chiarimento.
Prima di tutto, corrispondono ad una verità inoppugnabile, basata su dati di fatto: i ghiacciai alpini si stanno sciogliendo già da qualche anno, la “quota neve” si sta alzando (il Kilimangiaro già quasi non ne ha più), i ghiacci artici si sono già ridotti. Le perturbazioni climatiche sono già più violente e sono destinate con certezza ad aumentare di energia ed intensità: quando mai a luglio trombe d’aria e grandine così grossa? La siccità invade aree sempre più ampie del pianeta. I mari sono destinati a salire, e sommergeranno Venezia, con buona pace del MOSE, che non ha previsto questi fenomeni planetari: che progettisti lungimiranti! Né si può negare (anche se i “negazionisti” ci sono sempre e qualche volta dirigono giornali, ad onta di tanta ignoranza) che tutti questi fenomeni sono collegati all’aumento dell’anidride carbonica nell’atmosfera: nel 2018 ha superato le 410 parti per milioni, ed era a 280 qualche decennio fa.
Se non si pone rimedio, nel 2050 la temperatura del pianeta sarà più alta di 3 gradi Celsius; secondo l’IPCC (United Nation Panel on Climate Change), già 2 gradi in più possono mettere milioni di persone in pericolo.
Ma, secondo il Breakthrough National Center for Climate Restoration di Melbourne, queste sono previsioni anche troppo ottimistiche: nel 2050 potrebbe, semplicemente, esser finita la civiltà umana (o meglio l’inciviltà, viste le prospettive).
Se non ci fosse niente da fare, potremmo tranquillamente passare le nostre giornate a bere e divertirci; e i politici sarebbero autorizzati a non parlare del problema, per “non allarmare” la popolazione.
Ma la notizia, contemporaneamente bella e brutta, è che questa catastrofe può essere evitata. Bella, perché ci dà speranza. Brutta perché nessuno se ne occupa. La questione non è nelle agende politiche italiane, europee, americane. Tanti inutili (e talvolta pericolosi) problemi si agitano tra i più importanti governi del mondo, ma non quello essenziale: come evitare la più grave e definitiva delle catastrofi.
Se dovessimo sopravvivere alla tragedia del riscaldamento globale, credo che gli storici del futuro si sforzeranno invano di capire il perché di tanta cecità da parte del mondo politico e, purtroppo, anche da parte dell’opinione pubblica. Si chiederanno come mai non siamo insorti, non ci siamo ribellati alla condanna comminata senza processo all’intera umanità da parte di pochi potentati economici e da una classe politica ignava e incompetente. Ma, forse, non ci saranno più storici: soltanto dei sopravvissuti.
Comunque, è ormai noto che si può concretamente fare di più delle timide (e inattuate) riduzioni delle emissioni previste dai diversi protocolli internazionali, come Kyoto e Parigi. Ormai è noto che si può sottrarre CO2 all’atmosfera, rendendo così più veloce il ripristino di livelli compatibili con il mantenimento di un clima più ”fisiologico”.
In fondo, è quello che ha portato la terra ad essere quello che è (o sarebbe senza il danno antropico). Nella notte dei tempi, quando il pianeta cominciava a raffreddarsi e solidificarsi, l’atmosfera era costituita esclusivamente dai gas vulcanici: con moltissima anidride carbonica e metano, i più potenti gas serra. Non oso pensare quali fossero le temperature! Ma lentamente, nel corso delle ere geologiche, l’atmosfera si è modificata fino ad essere quella che conosciamo. Questo lavoro è stato compiuto dalle piante, dalle alghe e dalle conchiglie. Le prime producevano ossigeno e consumavano CO2, le ultime assorbivano così tanto carbonio da fabbricarci le Dolomiti, migliaia di chilometri di barriera corallina e tantissime altre rocce.
Ma, si sa, la terra è un organismo vivente: un “superorganismo”, dotato di meccanismi omeostatici potenti. E come può difendersi dalla stoltezza umana, se non distruggendo l’umanità, per legittima difesa?
Per fortuna ci sono anche uomini di buon senso, che propongono (e in qualche caso hanno già messo in atto) misure che, incredibile ma vero, sembrano essere efficaci. Per esempio, filtrare l’aria per recuperare il carbonio, da usare in serre, dove le piante l’utilizzano per crescere; o per immetterlo nel suolo, dove resta nella roccia. O allevare cozze e coltivare alghe, che poi diventano foraggio. Misure di una semplicità disarmante. Uniti alla riduzione delle emissioni, questi metodi possono salvarci, se non si aspetta troppo.
Peccato che i governi non siano interessati: né al problema, né alle soluzioni.
Infatti, non bastano poche iniziative. Occorre uno sforzo collettivo di tutti i Paesi, cioè di tutta l’umanità così minacciata.
E, secondo me, non è opportuno aspettare che tutti siano d’accordo: sicuramente morremmo prima. Meglio cominciare, e chiedere agli altri di seguire l’esempio. Anche perché, se questi provvedimenti costano, certamente si ripagano in posti di lavoro, aumento del PIL, risparmio sui danni… e, soprattutto, in vita. Certo è che bisogna dare la sveglia ai governi, come qualcuno sta cercando di fare. Ma, finora, gli unici che tentano di farlo sono Greta e il Papa (andate a leggere il suo discorso all’Assemblea Generale dell’ONU nel 2015). È un po’ pochino, però tutti abbiamo una voce: usiamola. Abbiamo le mani: teniamoci pronti. La classe politica mondiale è del tutto indifferente al nostro destino, come se non fosse anche il loro. Che geni!
Tra pochi giorni saranno 50 anni da che il primo uomo mise i piedi sulla luna. Fu un’impresa fantastica. Ingenti risorse economiche, tecniche e scientifiche furono mobilitate verso questa “nuova frontiera”, indicata come obiettivo strategico dalla volontà del presidente Kennedy: la luna fu conquistata, almeno simbolicamente, dall’umanità. Peccato che oggi si stia perdendo la terra. Ma cosa vieta che un simile impegno, politico, economico, scientifico e, soprattutto, ideale rinasca, per riconquistare alla vita questo nostro pianeta?
Bisogna volerlo. Bisogna cominciare.
di Cesare Pirozzi