Paolo fatti i tuoi cazzi, fatti i cazzi tuoi
Paolo fatti i tuoi cazzi, fatti i cazzi tuoi. Mi avete rotto il cazzo, sia tu che Meridionews. Mi sono rotto il cazzo”.
E’ disgustoso ascoltare queste parole in una diretta video di Vincenzo Niko Pandetta, nipote del capomafia ergastolano Turi Cappello e protagonista della puntata Realiti in cui vennero insultati i Giudici Falcone e Borsellino.
E’ disgustoso sentire i suoi insulti e le sue minacce, delle quali risponderà nelle sedi opportune (ovvero i Tribunali), ma soprattutto vedere le decine di migliaia di persone che guardano i suoi video, lo acclamano, condividono le sue dirette.
E’ disgustoso sentire che, candidamente, dica “mi sono drogato” senza condannare affatto la droga.
E’ disgustoso sentire gli insulti alla moglie, sinonimo della più becera cultura maschilista delle famiglie mafiose.
E’ disgustoso leggere i tanti messaggi di minacce che mi sono arrivati dopo le parole di questo delinquente da chi lo segue come un idolo. E che Pandetta ci ha scatenato contro, chiamandoli a condividere.
Svegliamoci prima che sia troppo tardi.
Non stiamo parlando, come qualcuno sostiene, di “quattro deficienti”, stiamo parlando di un fenomeno sociale con decine di migliaia di persone che lo sostengono. Persone che non sanno neanche chi sia Niko Pandetta, non sanno che sia stato condannato appena pochi giorni fa a quasi sette anni di carcere. Non sanno che è a processo per le minacce ai colleghi di MeridioNews. Non sanno che le sue canzoni sono scritte (per sua stessa ammissione) dallo zio ergastolano al carcere duro per mafia. Non sanno che è nipote del capomafia di quel clan Cappello che, secondo le intercettazioni della Polizia, doveva organizzare l’attentato per fare saltare in aria me e gli uomini della mia scorta.
Abbiamo pochi giorni fa celebrato la giornata del ricordo della strage di Via D’Amelio. Come possiamo, poche ore dopo, metterci sotto i piedi quella memoria e avere idoli persone come Pandetta?
L’ho detto e lo ribadisco: la mafia è un reato, la cultura mafiosa no. Ma è quella che dobbiamo combattere, ovunque. Prima che sia troppo tardi.
Paolo Borrometi