La mafia ammazza i bambini. Uno moriva 56 anni fa.

La mafia non tocca i bambini. Lo dicono anche i parenti di quelli morti ammazzati.
E’ ricorso due settimane fa l’anniversario dell’assassinio di Paolino Riccobono, 13 anni, depredato della propria vita sulle pendici del monte Billemi, nella Borgata di Tommaso Natale, Palermo, ad Est di Capaci e a sud-ovest di Mondello. Era il 19 gennaio 1961 quando due colpi al petto lo raggiungevano, seguiti da altri due colpi alle spalle, mentre il pastorello cercava di scappare.
Un destino preannunciato il suo, il padre ucciso nel 1957 ed il fratello tre anni dopo, entrambi vittime della faida tra i quartieri di Tommaso Natale e di Cardillo che andava avanti dal 1953 nella zona nord della città di Palermo.
Paolino non fu il primo bimbo trucidato nella storia delle mafie, né sarebbe stato l’ultimo. Il suo caso rientra anzi appieno in una lunga tradizione di minori innocenti morti ammazzati.

Infatti, secondo i dati raccolti da Libera, associazione per la sensibilizzazione ed il contrasto al fenomeno mafioso, sono 85 i minorenni uccisi dalle mafie dal 1896 al 2015. Il 41,2% è stato ucciso “casualmente”, il 25,9% per “vendetta diretta”, il 10,6% per “proiettile vagante” ed un altro 10% per “vendetta trasversale”. La maggior parte degli omicidi si sono consumati, in ordine crescente, in Sicilia, Campania, Calabria e Puglia. Per le città il record spetta a Palermo, con 18 minori ammazzati, seguita da Napoli, 16, e Reggio Calabria, 13. Diversi casi sono stati registrati anche al Centro Italia, con due omicidi a Roma e Firenze, tre a Bologna, e poi al Nord, con tre uccisioni a Milano e una a Varese e a Brescia.

Tuttavia, è ancora oggi opinione comune che i bambini, in mafia, non si tocchino.
Questa leggenda trova le sue origini durante lo svolgimento del maxiprocesso di Palermo. Il 7 ottobre 1986 Claudio Domino, 11 anni, viene ucciso nel capoluogo siciliano perché ha visto confezionare alcune dosi di eroina in un magazzino. L’omicidio genera grande indignazione nell’opinione pubblica in un momento estremamente delicato per Cosa Nostra.
Il giorno dopo l’omicidio uno dei boss mafiosi coinvolti nella maxi indagine, Giovanni Bontade, dichiara, in accordo con gli altri accusati: “Non siamo stati noi ad uccidere Claudio. Noi condanniamo questo barbaro delitto, che provoca accuse infondate anche nei confronti di questo processo.”. In tempi record, la mafia individua mandante ed esecutore e li fa sparire. E’ in quel momento che nasce, o che perlomeno riacquista vigore, la leggenda che la mafia non tocchi i bambini.
In realtà gli omicidi non vengono condannati a morte per questioni etiche, ma perché il ragazzino è stato ammazzato senza autorizzazione da parte del boss locale, in completa autonomia. Intanto però la dichiarazione di Bontade ha cristallizzato la leggenda, oltre ad ammettere implicitamente, attraverso l’uso di quel “noi”, l’esistenza dell’organizzazione mafiosa, errore per il quale verrà in seguito condannato a morte dalla stessa.

Possibile che la narrazione creata in quel momento da Cosa Nostra sia stata così efficace da offuscare la memoria degli omicidi di minori avvenuti nel passato e addirittura sopravvivere ai molteplici assassinii di stampo mafioso degli anni ‘90 ed oltre, fino al 2017?

di Giulia Montefiore

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