Dalle leggende alle fake-news non abbiamo mai smesso di credere alle favole

L’Europa è il vero grande sogno di Carlo Magno nell’ Anno 798 dopo Cristo. Nella sua reggia ad Aquisgrana Re Carlo si è fatto costruire un serraglio di animali esotici, con tanto di pantere e leoni: simboli della sua forza. Gli manca però la bestia capace di rappresentare al meglio la saggezza di un re e di rinverdire le glorie degli imperatori romani e delle corti di Bisanzio e d’Oriente: gli manca l’elefante. Oltre i confini d’Europa, di là dal mare si estende l’impero arabo. A Baghdad il califfo Harun al-Rashìd ascolta una sera dopo l’altra le mille e una storia che gli racconta la bella Sherazade, coi cieli tessuti di tappeti volanti, i mari sconosciuti che tentano Sinbad il marinaio, i Geni prigionieri delle lampade che sperano in Aladino.

All’aurora, quando i muezzin chiamano alla preghiera dall’alto dei minareti, in

un giorno imprecisato di quel 798 d. C. arrivano a Baghdad gli ambasciatori di Carlo Magno. Li guida un ebreo nord-africano di nome Isacco, che conosce la lingua araba.

Isacco dichiara al califfo che il suo sovrano, Carlo Magno, preferisce lasciarsi le guerre alle spalle, che ammira la cultura araba e che invia un messaggio di pace e alcuni doni. Harun al-Rashìd, in segno d’amicizia, manda a Carlo Magno un dono davvero speciale, l’elefante indiano che tiene nei suoi giardini. L’elefante si chiama Abū l-ʿAbbās, che significa “il padre dei doni”, il dono più bello. Così Isacco se ne torna in Europa con l’elefante affrontando prima il deserto e poi il mare in un viaggio spaventoso. L’elefante è terrorizzato dalle onde gigantesche e dal vento furioso, inciampa sulle strade lastricate dei romani, tra polvere e pietre. Il viaggio di Isacco e dell’elefante dura cinque lunghi anni: tocca Gerusalemme, costeggia le rive del mare Mediterraneo fino a Cartagine. Dalle coste Africane prende poi la direzione di Marsiglia, approda a Portovenere in Liguria, attraversa il Piemonte e le Alpi sulla via Francigena. Finalmente la spedizione arriva ad Aquisgrana, il primo giorno di luglio dell’anno 802.

Abū l-ʿAbbās viene condotto ai giardini della reggia, si guarda intorno sospettoso e poi le vede, le fontane, con l’acqua che gorgoglia. Sembra bastargli questo a restituire vigore all’animale mentre spruzza con forza gioiosa l’acqua alla vista di Carlo Magno.

L’imperatore mostra l’elefante ai suoi ospiti, se ne va in giro per il suo regno in compagnia di Abū l-ʿAbbās sentendosi davvero un grande imperatore, al pari di un signore orientale.

Abū l-ʿAbbās ha già una quarantina d’anni, ma nessuna capacità di adattarsi al clima del Nord: si ammala di polmonite, ne muore.

L’Imperatore ordina di “liberare” l’elefante dalle ossa per ottenerne avorio. Non si sono più visti elefanti in Europa dai tempi dell’Antica Roma e il mondo medioevale, dove l’avorio è molto usato e molto richiesto, non ne conosce la provenienza. Una leggenda vuole che l’avorio si ottenga dalle ossa del pachiderma esposte all’aria. E così sudditi e imperatore si mettono ad aspettare davanti alle ossa bollite che lo scheletro di Abū l-ʿAbbās si trasformi in una ricchezza immensa: un prezioso tesoro d’avorio. E’ con dispiacere che devono ammettere, col passare dei giorni, che le ossa all’aria si limitano ad ingiallire.

Fa sorridere la delusione di Carlo e dei suoi sudditi, che hanno creduto con tanta convinzione ad una storia campata per aria. Eppure noi non siamo poi così diversi da loro. Certo, col tempo molto è cambiato: non abbiamo più un Imperatore, al suo posto abbiamo un semplice Capitano che teme come un incubo il sogno d’Europa che fu di Carlo Magno, ma le leggende piacciono a noi come piacevano alla gente di allora. Le abbiamo soltanto ribattezzate: fake-news.

Dittatori, leader politici, ma anche normali cittadini le utilizzano per manipolare l’opinione pubblica e perseguire i propri interessi: le leggende, le false storie, le informazioni distorte, prosperano. Colpa del diluvio universale di informazioni nel quale rischiamo di affogare, colpa del basso livello di istruzione della popolazione, colpa della disattenzione, continuiamo a credere alle favole. Mentre ancora stiamo ad aspettare con fiducia che le ossa di Abū l-ʿAbbās diventino avorio, continue campagne di bugie confezionate su misura irridono le nostre vite, impoveriscono i nostri ideali, minano le nostre democrazie.

di Daniela Baroncini

 

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