Le carenze dello Stato e della politica e il fenomeno delle baby gang

“Colpiscono a caso, come i terroristi”. L’ha detto Minniti a proposito delle baby gang che nelle ultime settimane hanno imperversato a Napoli. Ma non è solo un fenomeno che riguarda il capoluogo campano. Le baby gang ci sono ovunque, ci sono a Napoli così come a Roma e Milano, solo che gli algoritmi nascosti dell’informazione a volte seguono percorsi tutti loro.

Le baby gang sono il prodotto di periferie degradate, che a loro volta sono il prodotto del disinteresse della politica e delle amministrazioni locali nei confronti di quelle aree cittadine da anni abbandonate a loro stesse.

A Napoli fa più effetto perchè il binomio baby gang-camorra ingolosisce le faine mediatiche, ma la camorra – semmai – entra in gioco solo in un secondo momento, quando si tratta eventualmente di cooptare quegli elementi delle baby gang che considera più valorosi, più meritevoli d’ingaggio.

Ma a quel punto è già troppo tardi. Laddove si forma una baby gang lo Stato ha fallito in partenza. A tutti i livelli: di istituzioni scolastiche, di politiche per il lavoro, di controllo preventivo del territorio, di modelli culturali. E allora che senso ha che lo Stato predisponga una task force per arginare il fenomeno? Forse dovrebbe predisporla contro se stesso. Il vero mostro è chi in periferia ci va solo per raccattare voti e riempirsi la bocca di slogan vuoti e promesse puntualmente non mantenute.

E’ sì un problema di ordine pubblico, ma non solo, perchè le baby gang colpiscono a caso, ma non è un caso che stiano lì. Come non è un caso che per loro non ci sia differenza tra una monellata e una rapina, tra il prendere in giro una vecchietta e il dare fuoco a un clochard. Ma bisognerebbe agire sulle cause invece che sulle conseguenze, perchè se nelle periferie ci fossero più servizi, trasporti, sicurezza e cultura forse questi ragazzini di 14 o 15 anni, figli di genitori cresciuti a pane e Grande Fratello, spenderebbero il tempo in altri modi.

di Valerio Di Marco

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