Sahar, la “Blue girl” di Teheran è morta

“La ragazza blu” è il soprannome della tifosa iraniana Sahar Khodayari, così definita perché amava vestire la maglia blu dell’Esteglal di Teheran, la sua squadra del cuore. E per assistere alle partite allo stadio Azadi, si vestiva da uomo ed evitava i controlli: le donne infatti, nella Repubblica islamica d’Iran, non hanno accesso allo stadio quando ci sono partite di calcio, prerogativa di un pubblico “maschile”.
A marzo la “Blue girl”, trentenne esperta di tecnologia, era stata scoperta, arrestata, mandata in prigione per tre giorni e poi rilasciata in vista di una sentenza della corte prevista in questi giorni. Ma Sahar per paura di essere incarcerata per sei mesi, si è data fuoco pochi giorni fa ed è morta a seguito delle implicazioni delle gravi ustioni riportate.
La pena non era ancora stata stabilita e i sostenitori del regime iraniano puntano su questo fatto, come a dire che è stata avventata lei, che poteva aspettare e magari le cose avrebbero potuto sistemarsi.

Ma sui diritti delle donne in Iran non si sistema mai nulla, abbiamo persino smesso di parlarne per stare dietro soltanto alle minacce sul nucleare, ai posizionamenti dei vari paesi sull’arricchimento dell’uranio, sulle sanzioni, sui modi per continuare a fare affari.
La morte della “Blue girl” ha causato nelle ultime ore cordoglio e buoni propositi: c’è chi, come Ando Teymourian, il primo cristiano a diventare capitano della Nazionale dell’Iran, chiede che lo stadio proibito sia dedicato proprio a Sahar e chi chiede alla Fifa di boicottare il calcio iraniano. Come abbiamo già scoperto in altre occasioni in passato, queste iniziative sono solo temporanee, il tempo dello scandalo e poi via. Tutto passa nel dimenticatoio. Di questa stessa notizia si è parlato pochissimo, quasi nessuno ne è a conoscenza, come se non riguardasse anche noi, anche chi è lontano dall’Iran. Perché tutto ciò che avviene in altre parti del mondo, tutto ciò che consideriamo distante geograficamente e culturalmente non ci riguarda, non ci interessa.

E dunque, se la comunità internazionale è la prima a essere diventata cinicamente ottusa, non si può chiedere al mondo del calcio e dello sport di prenderne il posto. Ma intanto che la luce è accesa sulle immagini delle bende di Sahar e sui suoi selfie felici rubati allo stadio, segniamoci le parole della parlamentare Parvaneh Salahshouri: “Siamo tutti responsabili”.
Sahar, oggi, rappresenta una ragazza come tante, con il coraggio di poche. Una giovane donna che prima ha sfidato le severe leggi iraniane che vietano alle donne di entrare allo stadio e poi ha scelto un gesto estremo per protestare contro chi nega dei diritti che dovrebbero essere uguali per uomini e donne. La nostra “Blue girl” ha combattuto a modo suo per i diritti di tutte le donne, in qualsiasi ambito della vita quotidiana affinché un domani, si possano vedere i primi frutti di un radicale cambiamento. Per tutti noi e per le nuove generazioni iraniane.

di Stefania Lastoria