Fraternità: la sola condizione che ci rende umani
La fraternità è l’opposto dell’odio. La fraternità è la nostra pelle dalla quale è impossibile liberarci, ma da sempre la decorticazione (ricordate Ipazia condannata da Cirillo, poi fatto santo) così come fu per le donne più coraggiose nei secoli scorsi fino ai giorni nostri. L’odio, è lo strumento per togliere la pelle della fraternità dal nostro cuore. Ci odiamo, eppure dovremmo amarci. La radice dell’odio è l’indifferenza, che isola e permette tutte le rappresentazioni dell’altro, fino a farne un nemico. È contro natura, umanamente strano da capire, come può accadere che nella vita quotidiana, si arrivi al paradosso del fratello che odia suo fratello.
Amare è bello, amare ci rende luminosi, amare e sentirsi fratelli o sorelli, ci fa sentire umani e vicini alla divinità che è dentro di noi e che siamo noi. L’odio è la negazione della fraternità, quindi dell’amore. Quando una persona uccide il suo prossimo (uccidere significa anche non amare, non aiutare, non accogliere) uccide se stesso. Vale anche per la pena di morte. Vale anche per la legge quando uccide. L’eliminazione dell’altro, del sorello, fosse pure colpevole di atroci crimini, distrugge alle radici il nostro sentirci sorelli e fratelle. La donna e l’uomo, la donna è l’uomo, non possono vivere senza la fratellanza e la sorellanza, perché non possono vivere senza l’amore. Possono, o possiamo, sopravvivere, ma non vivere.
Ogni persona, quando non vive più l’amore, non vive più, è morto dentro. L’amore rende vivi, perché l’amore ci fa sorelli e fratelle. Pensiamo a questo mondo iper-connesso, la moltiplicazione bulimica delle occasioni di scambio di informazioni sotto forma di immagini, di post, di like, di pollici verso, nasconde la mancanza di un tempo adeguato dedicato alla fratellanza e sorellanza. In questo contesto, anche la perseveranza propria dell’amicizia e dei legami autentici tra le persone appare fuori moda e inattuale. La sorellanza, il sentirsi parte di un’altra parte, il sentirsi prossimo al prossimo, ci mette hai margini della società del profitto, dove la disuguaglianza è l’elemento comune che genera povertà ai tanti e ricchezza ai pochi, annientando qualsiasi legame di fratellanza. Il profitto uccide e crea il mostro multiteste dell’odio tra fratelli e sorelli. Ma l’umanità, cioè le persone, le donne, i bambini, gli anziani, non possono vivere da soli, perché nella solitudine non esiste vita vera, non esiste l’amore che ci rende sorelli.
Voglio ricordare la parabola del Samaritano, Cristo, ci parla della Storia con la S maiuscola. Il prossimo della parabola, infatti non è una concezione generica di fratellanza, né lo scopo del discorso si limita a un vago invito a buoni sentimenti. Gesù ci propone piuttosto di riflettere sull’esperienza concreta del nostro state al mondo. A partire dalla realtà dei nostri incontri personali, ci propone un’apertura agli altri, ai nostri sorelli, che è universale, proprio perché è particolare. E mente questo accade, scopriamo anche qualcosa in più di noi stessi. C’è una tradizione orientale bellissima, che spiega la parabola del Buon Samaritano in una icona in cui “l’uomo mezzo morto” percosso ha lo stesso volto del Samaritano che lo soccorre: ed è il volto di Gesù. Chi soccorre e chi è soccorso hanno lo stesso volto. In questo modo tutti e due sono simili al Cristo Salvatore, sono simili a se stessi, essi sono, nella fraternità, fratelli. Essi sono…
di Claudio Caldarelli