Prescrizione e naufragio giudiziario
Il male come cura, come rimedio. È questo che viene da concludere riflettendo sull’acida vicenda della prescrizione,traguardata sullo sfondo di quella catastrofe che si chiamasistema giudiziario italiano. L’insopportabile durata dei processi, la più alta in Europa, ha come conseguenza un ammontante a circa dieci milioni di faldoni arretrati, inevasi, di contenziosi, reati rimasti ingiudicati nei 140 tribunali sparsi lungo la nostra penisola. Siamo di fronte a un vero e proprio sistema di giustizia denegata. Ossia a una bancarotta fraudolenta di tutti i principi – se non addirittura di tutti gli archetipi – che stanno alla base del pensiero e della civiltà occidentale, e soprattutto del suo portato storico in termini di politica e democrazia. Nella realtà fattuale e presente manteniamo solo la facciata esteriore di quei principi per regredire al caos più arcaico e brutale. L’edificio, il castello della giustizia, però, non può ergersi solo su principi astratti, ma deve cementarsi di un’amministrazione, di un’applicazione concreta di essa.
La giustizia, infatti, è sempre una cruciale relazione di potere. Il potere, in quanto tale, pretende di emanare giustizia, allo stesso modo in cui si batte moneta, ma non vuole totalmente sottomettersi a essa. Il re, il sovrano assoluto promulga sì le leggi, ma proprio perché è da lui che emanano, che discendono, egli si ritiene al di sopra di esse, sciolto dalla loro osservazione. Assoluto, infatti, deriva proprio dal latino ab-sòlvere, ossia prosciogliere, liberare da vincoli e limitazioni. E il vincolo per eccellenza è proprio quello della legge, del loro quotidiano esercizio in termini di giustizia umana. Così come un dio che emana le tavole della Legge, ma essendone incommensurabilmente al di sopra, non sottomettibile in alcun modo a esse. Il potere di vita e di morte del sovrano assoluto sui suoi sudditi deriva proprio dalla discendenza diretta da dio che si attribuiva al re. E tutto il conflittuale sviluppo del processo storico occidentale non è stato altro che quello di vincolare il sovrano, di costringere il potere – indipendentemente dalle figure fisiche di chi via via lo incarnassero – alla sottomissione cogente, ossia costringente alla Legge, all’amministrazione concreta, quotidiana della giustizia civile e penale. Nelle democrazie nessun potere può essere al di sopra della legge. Anche le più alte cariche dello Stato devono rispondere – seppure attraverso procedure particolari – della eventuale violazione dei codici legislativi. Lo Stato di Diritto, proprio per conseguire tale fine, si articola in tre poteri: legislativo, esecutivo e giudiziario.
Quella tra il Potere e la Legge rimane però sempre un relazione estremamente e capillarmente conflittuale. Quella in cui entrano in gioco i reali rapporti di forza tra i poteri e le istituzioni, le persone fisiche e politiche che le rappresentano. Il potere cercherà costantemente il modo di sottrarsi o allentare i vincoli della Legge, mentre quest’ultima tenterà di impedirlo. Gli Stati Uniti d’America si sono svincolati dalla firma e dal rispetto di tutti trattati di diritto internazionale, ritenendosi, essendo ed esercitando di fatto il loro rapporto di potere, di potenza economico-militare dominante sull’intero mondo. Come si configura l’istituto della prescrizione giudiziaria all’interno della rete di rapporti tra potere e giustizia? La prescrizione entra in atto quando il potere giudiziario di uno Stato di diritto non è in grado di giudicare in tempi ragionevoli l’imputato di un qualsiasi reato. Un principio indiscutibilmente giusto. Lo Stato non può permettersi di scaricare su chi deve essere giudicato la sua incapacità di giudicarlo nei modigiudiziariamente corretti. E tra questi modi rientrano pienamente i tempi del giudizio.
In Italia, però, è l’intero apparato giudiziario – e non sue singole articolazioni – a non essere più in grado da tempo di giudicare, emettere sentenze, condanne o assoluzioni. Siamo passati dal Porto delle Nebbie, come venivano chiamate alcune Procure, in particolare quella di Roma, celebre per i suoi insabbiamenti di scottanti istruttorie di natura politica, al naufragio in oceano aperto di tutta l’imponente flotta giudiziaria nazionale. La prescrizione è la conseguenza e non la causa di tale immane affondamento. Il potere si avvale della prescrizione solo in quanto scialuppa di salvataggio e fuga. In realtà, anziché un conflitto, c’è una convergenza tra la legge che pretende di vincolare e il potere che tende a svincolarsi. Io Stato dichiaro – con lo stesso presente stato di cose in cui palesemente verso – di non essere in grado di giudicarti, e tu, Potere, aggrappati pure a tutti i relitti galleggianti disseminati sulla superficie oceanica. Per Potere, però, dobbiamo intendere non solo quello al vertice politico, amministrativo, istituzionale, ma anche quello capillarmente diffuso in tutta la società. La catastrofe oceanico-giudiziaria, infatti, circonda anche l’ammasso di reati e conflitti giudiziari di ogni tipo, capillarmente e quotidianamente consumati sopra e sotto la superficie civile. Ogni singola persona, ogni cittadino si sente e pretende di essere quel dio al di sopra delle catene della legge. Dall’abuso edilizio alla lite condominiale, stradale, aziendale, comunale, fino al maltrattamento, all’abbandono di animali e rifiuti, ognuno si sente immediatamente – per il solo fatto di essere nato in Italia – un piccolo dio da ogni legge ab-solùtus. Per non parlare della massa dei veri e propri reati detti criminali. Lo stato di vittima, però, segue sempre e non precede quello di minimo re assoluto. La stessa prescrizione, infatti, riconosce alla vittima i diritti del risarcimento quantomeno economico del danno subito.
Potremmo così concludere che il naufragio del Titanus giudiziario italiano si è dimostrato il più sofisticato deglistratagemmi per svincolare il potere dalla legge. E più pletora di leggi il potere legislativo promulgherà, il potere esecutivo governerà e quello giudiziario amministrerà, più altri transatlantici inabisseranno in questa Fossa delle Marianne. Il blocco della prescrizione – essendo questa innanzitutto una conseguenza e non la causa del marasma – solo limitatamente può porre rimedio al naufragio. Occorrerebbe mettere fine alle condizioni che lo determinano. Ma è ipotizzabile che questo possa avvenire nei tempi ragionevoli di un vero processo di giustizia? O il male dell’ingiustizia continuerà a esercitarsi quale rimedio ipocrita a quell’altro male, forse più sentito, che è per ognipotere l’applicazione quotidiana della legge e della giustizia? Salvo poi scoprire che dai massimi e minimi dio re scaturisce quella vittima che è l’intero vivere civile che invece di avvolgerci benevolmente ci avvelena maleficamente. Forse occorrerebbe davvero un’amnistia generalizzata per voltare pagina e oceano.
di Riccardo Tavani