Caso Palamara: ora un nuovo Rinascimento

Le intercettazioni telefoniche scoperchiano un letamaio di cui tutti sospettavamo l’esistenza, ma non ne avevamo le prove. Ora le prove ci sono, sulla interferenza dei vertici della magistratura e della politica per pilotare inchieste, rimuovere giudici scomodi e non promuovere giudici bravi al di sopra delle parti. O stai con me, o contro di me. O stai con la logica spartitoria  delle correnti o sei fuori da qualsiasi incarico di rilievo. Gian Carlo Caselli, già procuratore di Palermo e poi di Torino, scrive sul Fatto Quotidiano del 28 maggio “Le comunicazioni telefoniche acquisite dalla Procura di Perugia nel caso Palamara, squadernano un groviglio di manovre e baratti (per molti un suk) sulle nomine di competenza del Csm.

Devastanti gli effetti. C’è persino chi evoca con nostalgia il presidente Cossiga che trattava il Csm a colpi di carabinieri spediti in piazza Indipendenza; o chi definisce il Csm un vermicaio del quale qualsiasi cosa sarebbe meglio, per cui a cada tutti i consiglieri! “. Certo si può non essere d’accordo, ma è necessario conoscere i fatti e non sottovalutarli, specialmente dopo la crisi di un anno fa quando politici e magistrati si incontravano all’hotel Champagne di Roma. Tutto nasce da lì, anzi tutto c’era anche prima. Per questo è necessario, come dice Caselli, è urgente un vero e proprio Rinascimento delle diverse articolazioni della magistratura. Un Rinascimento che non è utopia, perché i giudici italiani han dimostrato di esserne capaci in tempi anche più difficili.

Penso a quando la magistratura era invischiata a settori golpisti dello Stato, o al periodo delle bombe, alle Procure che erano porti nella nebbia, alle tante inchieste insabbiate. Ogni volta, la parte sana della magistratura, con un alto senso dello Stato, è riuscita a recuperare credibilità ottenendo enormi risultati nella lotta contro le mafie e la criminalità organizzata, che agiva con la copertura politica e di apparati dello Stato. Ma anche quando la vischiosità la  sommergeva, “…processi alla Resistenza e impunità per i gerarchi fascisti più compromessi. Vertici giudiziari in continuità con fascismo (un procuratore generale della repubblica di Salò è un ex presidente del tribunale della razza rispettivamente alla presidenza della Cassazione e della Corte Costituzionale).”  Vere crisi del sistema giudiziario di cui nessuno parlava.

I rischi per la democrazia enormi. “…695 fascicoli sugli eccidi nazifascisti del 1943-’45 occultati per decenni dalla Procura generale militare di Roma in un armadio scoperto dal giornalista Franco Giustolisi e da lui giustamente  definito l’armadio della vergogna. Negata l’esistenza della mafia; gli infortuni sul lavoro una fatalità; la procura di Roma un porto delle nebbie; vertici della magistratura a braccetto con personaggi impresentabili; Sindona beneficiato dall’affidavit di un alto magistrato…” Caselli non ha peli sulla lingua. Scrive la crisi della magistratura elencando fatti e vergogne, senza remore di smentita. Ma la strada della indipendenza reale della magistratura è stata lunga e tortuosa, non senza ostracismi di ogni genere. Una indipendenza che obbligava a confrontarsi con terrorismo, strabismo, poteri occulti e deviati (la P2) mafia, corruzione sistemica.

A tutto questo si aggiungono i continui attacchi a cui la magistratura è sottoposta anche quando è al servizio dello Stato. “Ed ecco una tempesta di accuse e controriforme trasversali per delegittimare la magistratura. Mentre le “correnti” invece di continuare nel confronto delle idee per meglio resistere agli attacchi contro la giurisdizione, registravano, quale più quale meno, la progressiva degenerazione in cordate per il conferimento degli incarichi e la nomina di dirigenti. Oggi, continua Caselli, che si è toccato il fondo,  serve uno scatto d’orgoglio dell’Anm e del Csm, per puntare, partendo da posizioni di sincera autocritica, a un robusto recupero di credibilità…in gioco vi è quindi l’indipendenza della magistratura. Per evitarne il tracollo occorre appunto un “Rinascimento”, presupposto per ribadire che tale indipendenza non è privilegio di casta dei giudici ma dei cittadini, che solo così possono sperare in una giustizia che mostri gli occhi dolci a qualcuno e la faccia feroce agli altri”.

di Claudio Caldarelli