Cine-pillole dal contagio

I film qui sinteticamente recensiti sono solo una personalissima, stringatissima selezione di tutta la valanga di vecchie e nuove opere proposte – a pagamento e non – sulle diverse piattaforme on-line. Tra queste ultime ho privilegiato quella gratuita di Rai Play. Ma cominciamo con due anteprime.

Favolacce. Non basta essere acce per dirsi anche arte. L’antefatto è un’anonima voce narrante che dice di aver trovato in un cassonetto della carta un blocco di carta scritto da una bambina con pennarelli colorati. In media res, la favolaccia è quella raccontata direttamente ai loro figli o discepoli dagli adulti con l’esempio delle loro insulse, volgari vite, parole e mentalità. Il finale, è la versione teoricamente attuale della tragicità classica nella quale le colpe dei padri che ricadono sui figli. Non solo la favola – anche senza il suffisso dispregiativo è stata già raccontata –, ma l’atmosfera da periferia romana con villette a schiera, con tutto il suo carico di simbolismo antropologico, non è sostenuta da una grande lezione di cinema, in termini di inquadrature e sequenze memorabili. Elio Germano sprecato falso protagonista. Più spazio ai piccoli attori, come era giusto d’altronde. Film vincitore per la Migliore sceneggiatura Festival di Berlino 2020.

Magari. Ancora figli in una storia di cinema nel cinema senza troppa arte. Di figli affidati a genitori sciamannati la storia del cinema è piena. Qui una madre separata, neofita della religione ortodossa, affida i tre figli, per una vacanza sulla neve, a loro padre, regista inconcluso che si trova sulla drammatica linea di realizzare o fallire definitivamente l’opera da tempo inseguita. Porta così i figli, invece che su piste innevate, in una villetta al mare d’inverno, dove dovrebbe riscrivere il copione con una sceneggiatrice con cui, però, va anche a letto. Buona l’atmosfera sulla ventosa spiaggia sotto il Circeo. Riccardo Scamarcio niente di mirabolante come padre. Alba Rohrwacher altra sprecata falsa protagonista, nel ruolo di sceneggiatrice. La regista Ginevra Elkann, pur ancora in difetto di un convincente stile cinematografico, ha almeno il merito dirigere magistralmente le tre piccole-grandi rivelazioni attoriali del suo film: Milo Roussel, Oro De Commarque, Ettore Giustiniani.

The Little House. Sei imperdibili titoli del grande, prolifico regista Yoji Yamada. Gratuitamente su Rai Play, sei opere tracciano la storia del Giappone attraverso vicende sentimentali, sullo sfondo della tradizione, dell’illibertà e della tragica esaltazione militaresca e nazionalistica nipponica, ma anche della contemporaneità, in una grande lezione che è insieme di stile artistico ed esistenziale. I titoli sono Kabei, Kyoto Story, The Little House, Ototo, Love and Honor. C’è poi Tokyo Family, che è il sorprendente ramake del capolavoro del suo maestro Ozu, Viaggio a Tokyo, la vicenda di due anziani genitori che si recano nella capitale a trovare i tre figli che da anni più non vivono con loro.

Mattone e specchio. Grande cinema d’autore con pochissimi elementi. Alla sua ultima corsa della giornata, un tassista accompagna una donna in una buia, deserta periferia di Teheran. Al momento di ripartire si accorge che la passeggera le ha lasciato una bambina ancora in fasce sul sedile posteriore. La insegue, senza trovarla, in un disadorno labirinto di mattoni e scale senza fine. Torna indietro e il labirinto diventa tutta la città. La centrale di polizia, l’ospedale, l’orfanotrofio, lo stesso misero caseggiato in cui vive. Il labirinto non è che lo specchio dei suoi sentimenti refrattari come mattoni, del legame che nega con la donna che lo ama, del suo taxi che conduce senza senso nel traffico imbottigliato della sua vita. Capolavoro della nouvelle vague iraniana, anno 1963, nella versione nitidamente restaurata da Cineteca di Bologna, sotto la supervisione del suo autore Ebrahim Golestan.

Le Livre D’Immage. Vertiginoso film di montaggio oltre i confini della storia e del tempo. L’ultima opera dell’enfant prodige ginevrino – ora novantenne – Jean-Luc Godard. È il tentativo  febbrile di una grandiosa sintesi di tutta la tragica vicenda del Novecento. Il vecchio maestro la compie mettendo insieme, contrapponendo, fondendo indistinguibilmente tra essi sacrali e blasfemi frammenti di film, brani di letteratura, squarci di musica e pittura, in un caleidoscopio che ci restituisce il senso e insieme l’insensatezza di vecchie speranze, nuove illusioni, forme espressive senza più confini geografici e culturali del vortice globale contemporaneo. Come, però, fosse proprio tale tentativo l’unico rimasto all’uomo per ri-montare la realtà. E come solo il cinema possa offrircela. 

I fidanzati. Cronaca di un amore tra narrazione e documentazione sociale. Liliana e Giovanni sono fidanzati da anni, ma il loro rapporto procede stancamente. Lui, saldatore qualificato in una fabbrica del nord, riceve la proposta di un trasferimento per un paio di anni in un petrolchimico siciliano, dove avrà subito la qualifica di specializzato e un buon aumento salariale. Giovanni accetta e la sua decisione è anche una separazione d’amore. Le cose in Sicilia sono però più difficili di come si aspettava, mentre Giovanna comincia a scriverle delle lettere. Sarà proprio questo il mezzo per approfondire i loro sentimenti. L’origine cinematografica di Ermanno Olmi è proprio quella del documentario industriale, al centro del quale poneva sempre i volti e i gesti degli operai. Qui vediamo il connubio perfetto tra un racconto d’amore e lo sfondo umano, sociale, di riti collettivi come il ballo nelle balere o nelle feste paesane di piazza negli anni ’50-60 del Novecento italiano. Lo spoglio stile poetico di un indimenticabile maestro del cinema, con un alto valore anche di documento storico.

Dillinger è morto. Un disegnatore industriale rientra la sera a casa e si mette a cucinare e rovistare tra vecchie riviste, oggetti, filmini del mare. Trova una pistola avvolta in una pagina di cronaca nera che racconta della morte del gangster americano del titolo. E quando sullo schermo appare una pistola, una legge del cinema dice che questa prima o poi deve sparare. L’attore francese Michel Piccoli, recentemente scomparso, in una delle sue più grandi interpretazioni-improvvisazioni. Una vera e propria cine-jam session, quasi senza copione e dialogo, completamente affidata dal regista all’istinto attoriale di Piccoli. Film di Marco Ferreri del 1969, tra i più inizialmente osteggiati e poi acclamati. Su Raiplay.

di Riccardo Tavani