Riproporre la funzione sociale della proprietà
Dopo avere esaminato i mali costitutivi della società di oggi, fondata sull’egoismo e sullo sfruttamento di grandi parti della popolazione mondiale nel lavoro e negli stessi diritti umani, Francesco chiama i credenti e tutte le persone di buona volontà, ovunque nel mondo, ad essere parti attive per lavorare alla realizzazione di una società più giusta, a farlo con lo spirito di amore, di misericordia del buon samaritano.
E a farlo insieme, perché <<la vita sussiste dove c’è legame, comunione, fratellanza; ed è una vita più forte della morte>>.
E forse oggi con la pandemia che colpisce ogni parte della terra, la parola insieme ha un particolare senso.
Ma è necessario riflettere su come possa essere malinteso, questo essere insieme: <<Il più nobile senso sociale oggi facilmente rimane annullato dietro intimismi egoistici con l’apparenza di relazioni intense.>>
E questo si riscontra soprattutto quando l’essere insieme assume connotati autoreferenziali, con un noi che si contrappone a gli altri.
Chiaramente, di questo abbiamo particolare evidenza se si pensa al fenomeno della migrazione nel mondo, che secondo le diverse stime comprende da 220 a 270 milioni di persone, poco meno del 3 per cento dell’intera popolazione della terra. Ad essa si ispira la vocazione <<a formare una comunità composta da fratelli che si accolgono reciprocamente, prendendosi cura gli uni degli altri>>.
La posizione di Francesco è chiarissima, si tratta di puntare a società che integrino tutti, dai migranti nei diversi paesi agli “esiliati occulti”, residenti in borgate, disabili, anziani. In esse, però, non si deve pensare ad: <<un universalismo autoritario e astratto, dettato o pianificato da alcuni e presentato come un presunto ideale allo scopo di omogeneizzare, dominare e depredare>>. Si deve invece puntare ad un mondo più umano, multiculturale << nella varietà e nella diversità degli apporti che ciascuno può dare>>.
Il pontefice è quindi assolutamente esplicito nel rifiutare << gruppi sociali che si aggrappano ad un a identità che li separa dagli altri>>. Con essi << la parola “prossimo” perde ogni significato, e acquista senso solo la parola “socio”, colui che è associato per determinati interessi>>.
C’è poi un momento in cui si trova un messaggio inequivocabile, è un paragrafo intitolato “Libertà, Uguaglianza, Fraternità”, le parole simbolo della Rivoluzione francese. In esso c’è una sottolineatura della Fraternità, senza la quale <<la Libertà si restringe, risultando così piuttosto una condizione di solitudine, mentre, per quanto riguarda l’Uguaglianza, essa ne è il risultato di una coltivazione consapevole e pedagogica.
È a questo punto che nell’Enciclica cominciano le indicazioni più concrete.
Dalla fraternità, dall’amore universale scende l’affermazione che <<ogni essere umano ha diritto a vivere con dignità e a svilupparsi integralmente, e nessun Paese può negare tale diritto fondamentale>>
Di più, si dice che, se la società si regge primariamente sui criteri della libertà di mercato e dell’efficienza, allora non c’è posto per i disabili o gli emarginati, e la fraternità sarà tutt’al più un’espressione romantica.
E, ancora più nettamente <<Finché il nostro sistema economico-sociale produrrà ancora una vittima e ci sarà una sola persona scartata, allora non ci potrà essere la festa della fraternità universale>>.
Una attenzione particolare è data poi alla Solidarietà, che in tempo di pandemia ci ha mostrato l’impegno di tanti che hanno servito persone, e non soci o ideologie. E che si è realizzata in forma speciale tra gli ultimi, tra i più emarginati, tra di loro, visto che i più abbienti non ci pensavano.
E nell’Enciclica Solidarietà <<è pensare ed agire in termini di comunità, di priorità della vita di tutti sull’appropriazione di beni da parte di alcuni. È anche lottare contro le cause strutturali della povertà, la disuguaglianza, la mancanza di lavoro, della terra e della casa, la negazione dei diritti sociali e lavorativi. È fare fronte agli effetti distruttori dell’Impero del denaro>>.
Un altro paragrafo del terzo capitolo, infine, ha per titolo “Riproporre la funzione sociale della proprietà”.
Ed è illuminante riportare le parole di Francesco: <<Ricordo che la tradizione cristiana non ha mai riconosciuto come assoluto o intoccabile il diritto alla proprietà privata>>.
Senza dubbio, questo punto non è stato mai citato nei media, e certamente non fa piacere per esempio a una parte dell’episcopato nord-americano.
Ma è importante, molto, che il capo di un miliardo e trecento milioni di cattolici ricordi che nella dottrina cristiana il diritto alla proprietà privata è solo un diritto naturale secondario e derivato dal principio della destinazione universale dei beni creati.
Ed è possibile trarne conseguenze. Tutte le donne e gli uomini della terra, dovunque siano, non possono essere escluse. E ancora: <<Sempre, insieme al diritto di proprietà privata, c’è il prioritario e precedente diritto della subordinazione di ogni proprietà privata alla destinazione universale dei beni della terra e, pertanto, il diritto di tutti al loro uso.
Ma Francesco non si ferma nella sua analisi. Per giustizia, gli stessi principi dovrebbero essere applicati nelle relazioni e l’interscambio tra i Paesi, in particolare per i paesi poveri nei confronti dei paesi ricchi che li hanno sfruttati.
Erano idee che alla fine degli anni sessanta fecero sperare ed impegnarsi tanti giovani. E ora sono posizioni annunciate da Francesco, il capo della chiesa cristiana cattolica. Sono quelle di pensare e generare un mondo aperto.
E vale la pena leggere direttamente le sue conclusioni:
<<Se non ci si sforza di entrare in questa logica, le mie parole suoneranno come fantasie.
Ma se si accetta il grande principio dei diritti che promanano dal solo fatto di possedere l’inalienabile dignità umana, è possibile accettare la sfida di sognare e pensare ad un’altra umanità.
È possibile desiderare un pianeta che assicuri terra, casa e lavoro a tutti. Questa è la vera via della pace>>.
di Carlo Faloci