Le ombre di un mondo chiuso
Stiamo vivendo un momento storico di crisi profonda, nel quale la pandemia è un momento di accentuazione totale, che prima o poi sarà risolto.
Ma non sarà risolta la crisi, per la quale sarebbe necessaria una analisi fondamentale dei mali profondi, una ricerca delle soluzioni, un progetto di società diversa e migliore.
Solo il pontefice, nel primo capitolo della sua “Fratres Omnes”, ha avuto il coraggio e lo spirito universale di analisi della realtà, che ha intitolato “Le ombre di un mondo chiuso”.
Francesco ricorda, dopo la seconda guerra mondiale, le speranze di una possibile integrazione dei popoli, come la nascita di una Europa Unita. Ma si prende atto anche dei sogni che vanno in frantumi, di una economia globale che ha strumentalizzato il disinteresse per il bene comune, che ha imposto un modello culturale unico nel quale le persone svolgono solo il ruolo di consumatori, o al più di spettatori e subiscono il bisogno di consumare senza limiti. Si tratta di nuove forme di colonizzazione culturale, senza un progetto comune a tutti, con interessi che ci pongono tutti contro tutti, quando sarebbe necessario costituirci in un “noi” che abita la Casa comune e quando invece le persone non sono più un valore primario, specie se povere o disabili, se “non servono ancora” come i nascituri o “non servono più” come gli anziani.
E Francesco fa un esame attento, della società in cui viviamo.
C’è un aumento della ricchezza, ma senza equità, così che si creano nuove povertà, con diritti umani non sufficientemente universali, tali che <<mentre una parte dell’umanità vive nell’opulenza un’altra parte vede la propria dignità disconosciuta, disprezzata o calpestata e i suoi diritti fondamentali ignorati o violati>>
C’è un mondo che è lontano dal riconoscere che le donne hanno esattamente la stessa dignità e identici diritti degli uomini, che accetta che ancor oggi milioni di persone siano private della libertà e costrette a vivere in condizioni assimilabili a quelle della schiavitù, che vengano sequestrate e uccise per vendere i loro organi.
Ci sono guerre, attentati, persecuzioni per motivi razziali o religiosi e tanti soprusi contro la dignità umana, quasi una “terza guerra mondiale a pezzi”, che non sono condannati, ma sono giudicati solo secondo proprie convenienze.
Ci sono paure ancestrali che sussistono anche oggi: non esiste più il mondo, c’è il mio mondo nel quale quelli non sono considerati esseri umani; c’è la cultura di alzare muri nel cuore e nella terra, per impedire l’incontro con altre culture, con altra gente.
C’è una vergognosa distribuzione di risorse primarie che porta a morire di fame milioni di bambini.
Ci sono le condizioni che sono terreno fertile per le mafie, che mascherano la criminalità come una sorta di protezione dei dimenticati.
C’è un deterioramento dell’etica che dovrebbe regolare l’agire internazionale, per il quale diventa un’utopia l’idea di costruire insieme giustizia e pace.
Siamo in un mondo che corre senza una rotta comune, è l’amara constatazione di Francesco.
Un mondo nel quale cresce sempre di più la distanza fra l’ossessione del proprio benessere e una possibile felicità condivisa con tutte le donne e gli uomini della terra.
Un mondo nel quale la pandemia da Covid 19 ci ha dato per qualche tempo la consapevolezza di essere una comunità mondiale in cui il male di uno va a danno di tutti, ma anche poi il rinascere di egoismi individuali.
Un mondo nel quale, passata la pandemia, la peggiore reazione sarebbe quella di cadere ancora di più in un febbrile consumismo.
Un mondo nel quale le migrazioni, che pure costituiranno un elemento fondante del futuro del mondo, saranno vissute con la perdita, inaccettabile per i cristiani, della responsabilità fraterna su cui si basa ogni società civile.
Un mondo nel quale convivono l’illusione della comunicazione, in particolare quella digitale, che non è informazione e tanto meno formazione, ma piuttosto
una diminuzione del diritto di intimità e insieme la propagazione senza saggezza di notizie inutili, spesso anche inattendibili.
In una società con queste connotazioni dice Francesco, è facile che si verifichino perdite di autostima, spinte a cercare nuove culture al servizio dei più potenti, da cui traggono vantaggio l’opportunismo della speculazione finanziaria e lo sfruttamento, dove i poveri sono sempre quelli che perdono.
Eppure, nonostante tutto, è giusto avere un atteggiamento di speranza.
Basta solo pensare che nella recente pandemia abbiamo avuto il dono di vedere e di avere la disponibilità di tanti compagne e compagni di viaggio che nella sanità, nei servizi, in tutte le forme di lavoro necessario sono stati vicini agli altri, dimostrando che è possibile, è giusto essere insieme, essere una comunità.
Ho parlato solo del primo articolo della enciclica “Fratres Omnes” in moltissimi casi usando le stesse parole del testo, anche perché, a differenza di molte encicliche dal linguaggio aulico, dai contenti dottrinali con il peso della infallibilità, il testo di Francesco è un dialogo aperto verso tutti, credenti e non, donne ed uomini di buona volontà sulla terra.
E mi sembra importante, in questo cammino di speranza, riportare integralmente dal New York Times le parole scambiate tra Francesco e Biden.
L’ufficio per la transizione ha affermato che Biden ha ringraziato il papa per “promuovere la pace, la riconciliazione e i legami comuni dell’umanità nel mondo” e si è impegnato a lavorare con il pontefice sul cambiamento climatico e “prendersi cura degli emarginati e dei poveri”. Il Sig. Biden ha anche parlato di lavorare con il Papa su “accogliere e integrare immigrati e rifugiati nelle nostre comunità”, in netto contrasto con le attuali politiche del presidente Trump, che ha rigorosamente inasprito i confini americani per limitare l’ingresso di migranti e rifugiati.
Mi sembrano parole importanti, di cambiamento. E allora, con le parole di Francesco: <<Camminiamo nella speranza>>.
di Carlo Faloci