LA MIGLIORE POLITICA

Nei primi capitoli della  “Fratres Omnes” c’è una analisi senza infingimenti della situazione delle donne e degli uomini che abitano la terra, dei loro diritti fondamentali in varie misure ampiamente calpestati e ,conseguentemente, quali interventi di modifica, di rivoluzione della società verso un nuovo umanesimo dovranno avere come fondamento la scelta   che <<come esseri umani siamo tutti fratelli e sorelle>>.

Ed ecco che nel capitolo “La Migliore Politica” Francesco, il capo religioso di un miliardo e quattrocento milioni di credenti, afferma con chiarezza che <<Per rendere possibile lo sviluppo di una comunità mondiale, capace di realizzare la fraternità a partire da popoli e nazioni che vivano l’amicizia sociale, è necessaria la “migliore politica”, posta al servizio del vero bene comune, che non può vivere nel disprezzo dei deboli e cioè in forme populistiche per fini demagogici, o liberali al servizio di interessi economici dei potenti.

La parola “popolo”, osserva poi Francesco, è l’opposto delle degenerazioni populiste che ricercano gruppi chiusi e interessi immediati ed è direttamente legata al grande tema del lavoro <<che è veramente popolare perché promuove il bene del popolo>>.

Ne segue che aiutare i poveri con il denaro deve essere sempre un rimedio provvisorio, perché <<il vero obbiettivo dovrebbe sempre essere di consentire una vita degna mediante il lavoro>>.

E la stessa carità fraterna, che si esprime nell’incontro tra persona e persona, deve poter contare sulle istituzioni di una società organizzata: <<anche il buon samaritano ha avuto bisogno che ci fosse una locanda che gli permettesse di risolvere quello che lui da solo in quel momento non era in condizione di assicurare>>.

Serve quindi <<un’organizzazione mondiale più efficiente, per aiutare a risolvere i problemi impellenti degli abbandonati che soffrono e muoiono nei paesi poveri>>. E questo perché <<il mercato da solo non risolve tutto, benchè a volte vogliano farci credere questo dogma di fede neoliberale>>.

 E infatti la fragilità dei sistemi mondiali di fronte alla pandemia ha evidenziato che non tutto si risolve con la libertà di mercato e che <<dobbiamo rimettere la dignità umana al centro e su quel pilastro vanno costruite le strutture sociali alternative di cui abbiamo bisogno>>.

Francesco fa riferimento a movimenti popolari, mal tollerati da visioni economicistiche, che aggregano disoccupati, lavoratori precari e informali e tanti altri che danno vita a varie forme di economia popolare e di produzione comunitaria. E si augura che tra essi nasca, senza tradire il loro spirito caratteristico, un incontro, un coordinamento, una confluenza, perché essi sono <<seminatori di cambiamento, promotori di un processo in cui convergono milioni di piccole e grandi azioni concatenate in modo creativo, come in una poesia.>> 

Ma un ruolo decisivo, afferma il pontefice, dovrebbe realizzarsi attraverso il potere internazionale. Già con la crisi economica del 2007-2008 si è perduta l’occasione di dare regole ordinate alla liceità e al controllo della finanza speculativa. Ed ora, con la perdita di potere degli Stati nazionali per la dimensione economico-finanziaria che prevale sulla politica <<diventa indispensabile lo sviluppo di istituzioni internazionali più forti ed efficacemente organizzate, con autorità designate in modo imparziale>>.

Questo comporterebbe, deve comportare una riforma dell’ONU e delle Agenzie coordinate, per dare reale concretezza al passaggio da Organizzazione a Famiglia delle Nazioni, con una effettiva e definitiva affermazione della Forza del Diritto nei confronti del Diritto della Forza.

Questo significherebbe, deve significare una grandezza politica che opera sulla base di grandi principi e pensando al bene comune a lungo termine, ad un progetto comune per l’umanità presente e futura. Si tratta di avere la forza, il coraggio di dare vita a processi sociali di fraternità e giustizia per tutti, di entrare nel campo della carità politica, cioè di riconoscere che l’amore è anche civile e politico, e si esprime non solo in relazioni intime e vicine, ma anche nelle <<macro-relazioni: rapporti sociali, economici, politici>>.

Ma la carità politica presuppone di aver maturato un senso sociale: <<La carità sociale ci fa amare il bene comune e fa cercare effettivamente il bene di tutte le persone, considerate non solo singolarmente, ma anche nella dimensione sociale che le unisce>>. Così, se qualcuno aiuta un anziano ad attraversare un fiume (e questo è squisita carità), un politico costruisce un ponte, per l’anziano e per tutti.

Tutto questo è il percorso da attuare, dice Francesco: <<ma siamo lontani da una globalizzazione dei diritti umani più essenziali. Perciò la politica mondiale non può tralasciare di porre tra i suoi obbiettivi principali e irrinunciabili quello di eliminare effettivamente la fame>>. Perché:<<la fame è criminale, l’alimentazione è un diritto inalienabile>>.

Infine, Francesco si rivolge ai politici, e al loro lavoro di lungo periodo: <<D’altra parte, è grande nobiltà essere capaci di avviare processi i cui frutti saranno raccolti da altri>>.

E ancora, pensando al futuro che si chiedano: <<A che scopo? Verso dove sto puntando realmente>>?

Ed anni dopo, riflettendo sul proprio lavoro, che non si chiedano quanti mi hanno votato, ma: <<Quanto amore ho messo nel mio lavoro? In che cosa ho fatto progredire il popolo? Che impronta ho lasciato nella vita della società? Quali legami reali ho costruito? Quali forze positive ho liberato? Quanta pace sociale ho seminato? Che cosa ho prodotto nel posto che mi è stato affidato?>>

Ecco, ora in Italia abbiamo il nuovo governo. Chissà se, alla fine del loro incarico, il Premier e i ministri si faranno le stesse domande?

di Carlo Faloci