Mozambico. Restare con loro e per loro

La situazione del Mozambico e la delicata gestione degli ultimi, dei bambini, dei poveri, dei rifugiati sta diventando sempre più di difficile soluzione, una nazione stremata e dilaniata dalla guerra che può contare quasi esclusivamente su comunità parrocchiane e volontari, come ci racconta Suor Maria Luisa Spitti.

Ecco cosa ci dice da Pemba, città capoluogo della provincia di Cabo Delgado, a nord-est del Mozambico, con la quale pur con problemi di interruzione di linea via web, è stato possibile intavolare una sorta di intervista, o forse più una diretta testimonianza di come si vive nei luoghi da lei frequentati.

«Con  grande pena, la terribile guerra non risparmia i bambini. Si sentono cose strazianti e indescrivibili di quello che subiscono nelle zone di guerra. Anche qui da noi non sappiamo come riusciranno a sopravvivere. Nella Caritas parrocchiale abbiamo il banco del latte per i più piccoli. Ma sappiamo che non possiamo raggiungere tutti perché sono tantissimi e continuano ad arrivare; l’Unicef sta sistemando queste famiglie in grandi accampamenti; si dice che saranno novanta, e in ogni accampamento saranno migliaia. Noi stiamo già seguendo uno di questi, che si trova in città con la distribuzione di cibo e medicine. Ogni giorno arrivano i nuovi e ne partono alcuni, in media cinquecento persone».

Questa, in estrema sintesi, la drammatica fotografia di un Mozambico piegato dalla guerra, inviataci dalla missionaria salesiana italiana di origine piemontese, nata nel 1948 e che dall’ottobre del 1990 si trova in Mozambico – ora insieme ad altre quattro consorelle, Candida, Albertina, Bendita e Nilza – si occupa, secondo il carisma del fondatore san Giovanni Bosco, di educazione.

«La guerra dura ormai da quattro anni, è sempre più dolorosa, difficile anche da capire, caotica, violenta. Non si sa da dove attaccano e non si sa bene chi siano. Li chiamano gli “insurgenti” (quelli che appaiono, spaventano e violentano)». La missionaria salesiana è un fiume di crudo realismo ma anche di speranza: «La nostra casa non è per ora al centro delle varie violenze che sono state effettuate in questi quattro anni, ma lo potrebbe diventare. Così dicono le persone che arrivano qui come prima frontiera di salvezza, scappate dalle zone attaccate. Infatti, desiderano andare più lontano, dicono che anche qui non si sentono al sicuro. Noi sì – riprende Suor Maria Luisa – ci sentiamo sicure, non so bene il perché, sarà la fede ma è così. In casa abbiamo un gruppetto di ragazze che stanno studiando, abbiamo già deciso con le famiglie che verranno trasferite in altre case più sicure. Ma noi suore della comunità rimarremo.

L’attività di accompagnamento, non è certo forse una gran cosa ma sappiamo che i poveri, le persone che hanno bisogno di aiuto possono venire qui da noi, essere accolte, ascoltate e aiutate per quello che possiamo. Nella comunità abbiamo circa mille alunni distribuiti tra la scuola media e superiore, di scienze e di lettere. Questo ci permette di accogliere soprattutto gli alunni più poveri, e poi non può mancare l’attività parrocchiale con l’animazione dei gruppi di fanciulli, adolescenti, giovani e anche di adulti per la catechesi, impegnati nella formazione e nelle attività sociali come la Caritas per l’accompagnamento dei poveri e i cosiddetti dislocati (persone fuggite dalla guerra)».

Un contesto africano, quello della popolazione mozambicana, che chiede aiuto alla comunità internazionale, perché in questo momento c’è bisogno di tutto, ma essendo la situazione pericolosa ciò non consente facilmente l’entrata di persone e cose. Quindi la soluzione rimane solo quella di ricevere soldi e comprare sul posto ciò che occorre. E così poter offrire colazione, pranzo e cena a circa cinquecento persone. La nota positiva sono le persone del posto che offrono la loro disponibilità per aiutare e servire. Molte famiglie mettono a disposizione la loro casa ad altre famiglie. Consideriamo poi che allo sterminio di vite umane causato dalla guerra si aggiunge la morte determinata dalla fame, nonostante gli aiuti. Tutti loro stanno facendo il possibile per evitare questa ulteriore tragedia, in particolare per salvare i bambini. Ed è in questo contesto che Suor Maria Luisa Spitti coglie l’occasione per lanciare un messaggio e una riflessione al mondo occidentale: «Potrebbe il mondo oggi capire le atrocità che provoca il possesso? Questa guerra, come tante altre, è stata voluta solo per avere il possesso delle “ricchezze” che sono state scoperte (metalli rari per le tecnologie). Un’altra parola è aiutiamo, facciamoci coraggio, passiamo dalle parole ai fatti, in fondo sono nostri fratelli; tutti insieme possiamo fare tanto bene a chi soffre senza averne colpa alcuna».

di Stefania Lastoria