Uccisi dal lavoro sul lavoro
“Una guerra silenziosa che ogni anno fa più di mille morti nei siti produttivi…” dice Pierpaolo Bombardieri segretario generale della UIL. Una guerra silenziosa che fa più rumore dei bombardamenti americani sulle popolazioni inermi nei teatri di combattimento. Morti che urlano. Donne macinate nell’orditorio tessile e uomini caduti dalle impalcature. Morti assassinati, non morti bianche come ci vogliono far credere, ma veri e proprie uccisioni premeditate, laddove mancano i sistemi di sicurezza. E i sistemi di sicurezza, troppo spesso mancano, vengono esclusi, rimossi o smontati, al solo scopo di aumentare la produzione. Al solo scopo di aumentare il profitto. Al solo scopo di aumentare la propria ricchezza e la disuguaglianza sociale. Il padrone rimane padrone, anche quando i giornali e le Tv lo definiscono imprenditore. Difficilmente viene definito assassino, neppure quando ha rimosso o mai installato i sistemi di sicurezza per tutelare la vita delle lavoratrici e dei lavoratori. Mente scriviamo, nel Salento, a Tricase, muore cadendo da una scala Donato Piscopiello di 68 anni. Qualche giorno prima, a Lecce, è morto Fabio Sicuro, aveva 39 anni. Tre giorni prima, un operaio di 42 anni residente a Taviano, è morto in circostante poco chiare. In Puglia siamo già a 50 morti sul lavoro.
Una macabra classifica stilata dall’Inail sottolinea che il triste primato dei morti (uccisi…) sul lavoro spetta alla ricca Lombardia, seguita dalla Campania, poi il Lazio e il Piemonte. Una classifica drammatica, che mette in luce il rapporto ricchezza accumulata con le morti per sfruttamento della vita umana fino ad oltrepassare il limite della vita. Il profitto sopra ogni cosa. Intanto le donne muoiono, inghiottite dalle macchine, dai soprusi, dalle violenze, dalle angherie e dalle molestie. Muoiono. Le donne muoiono sul lavoro, senza che i “padroni” o imprenditori le piangano. Per le donne che muoiono sul lavoro, piangono i figli, che non vedranno più la loro mamma. Piangono i genitori che non capiscono come possa accadere di morire (uccisi…) sul lavoro per mancanza di sistemi di protezione e sicurezza. Per le donne che muoiono, piangono i compagni che rimarranno soli a crescere i figli e rimarranno soli nelle lunghe sere d’inverno quando fuori piove e la malinconia ti fa piangere. Piangono i giusti per le morti sul lavoro. Una guerra silenziosa l’ha definita il segretario Bombardieri, talmente silenziosa che ci rimbomba nella testa.
Dall’inizio anno 2021, sono morte 677 donne e uomini. Sicuramente saranno di più quando leggerete questo articolo. Gli infortuni da iniziò anno sono stati 312.762, con un aumento dell’8,3 % rispetto all’anno scorso. Le patologie 33.865 con un aumento del 34,4%. Tutti gli anni il governo si incontra con le parti sociali per definire protocolli che riducano le morti e gli infortuni, ma restano parole vuote. Anche in questi giorni c’è stato un accordo tra le parti sociali ed il governo, un accordo che se rispettato può ridurre le morti di questa “guerra silenziosa” anche con l’assunzione di 2100 ispettori del lavoro che dovranno contrastare l’emergenza. Ma non è un emergenza, è una guerra tra il capitale, che utilizza lo sfruttamento fino alla morte, e le donne e gli uomini, che non vengono tutelati rivendicano il diritto alla vita.
Intanto, il dolore dei familiari delle vittime e incolmabile. I figli delle donne morte sul l’acoro negli anni scorsi, sono stati dimenticati. Nessuno pensa più al loro dolore che è giornaliero. Nessuno condivide lo strazio delle compagne o mogli, o compagni o mariti, che sono rimasti soli. Soli davanti alla tazza di latte caldo del mattino. Incapaci di guardare negli occhi i figli, incapaci di spiegare loro che la mamma o il papà non tornerà più. E non sarà facile, mandare giù un sorso di latte caldo, al mattino, con quel groppo alla gola che ti soffoca e ti fa piangere. La colazione non sarà più un momento di gioia, ma una tortura. Una tortura quotidiana da cui sarà impossibile liberarsi. Tutto questo dolore, solo per aumentare il profitto del padrone o imprenditore, che per aumentare la sua ricchezza a tolto la vita a quella mamma o papà. Il padrone, come ai tempi del feudalesimo, ha il potere di vita e di morte sui sui lavoranti schiavi o sevi della gleba. Il profitto del padrone che toglie il diritto alla vita anche dei figli, lasciandogli intatto il dolore e le lacrime per gli anni a venire. Morti sul lavoro, no, uccisi dal lavoro sul lavoro.
di Claudio Caldarelli e Eligio Scatolini