Viva l’Italia, l’Italia se resiste.

Dura lex, sed lex (la legge, anche se dura, è legge) è un appello, tratto da Socrate, a rispettare la legge anche quando appare più rigida e rigorosa. E’ un motto che risale al periodo in cui a Roma venivano introdotte le norme scritte. Fino ad allora erano state tramandate a voce e interpretate di volta in volta dai giudici, che detenevano il potere di riferire la tradizione orale. Dall’arbitrio del giudice alla codifica scritta, “Dura lex, sed lex” dà il senso di una conquista: possiamo avere mille opinioni diverse, ma la legge è una sola, uguale per tutti, anche se non ci piace.

In quest’estate rovente, sognando il mare sotto l’ombrellone, è di mare che si parla più che mai, di questo mare nostro che sta diventando un mare mostro: c’è chi pensa che i migranti alla deriva nel Mediterraneo debbano essere salvati ad ogni costo, c’è chi pensa invece che salvarli sia un affare losco e crei i presupposti per un’invasione di massa. Si discute “a braccio” di vite umane come se non ci fossero regole, invece una regola c’è, che ci aggradi oppure no, e la regola dice che i naufraghi vanno salvati. La polemica che divampa nella vampa d’agosto non può prescindere dalla conoscenza della legge, spesso taciuta, a molti sconosciuta. Il mare ha una sua giurisprudenza, millenaria, immutabile e sacra: non si lascia nessuno in mezzo al mare.
Questa consuetudine marittima che si perde nella notte dei tempi è il fondamento di numerose convenzioni internazionali: è bene tenerlo a mente.
Chiunque vada per mare e incroci persone in difficoltà, dicono infatti le leggi della navigazione, ha l’obbligo di soccorrerle, siano essi migranti, diportisti, croceristi od equipaggi. Chiunque sia in grado di intervenire in una situazione di pericolo ha l’obbligo giuridico di farlo; se non lo fa commette il reato di omissione di soccorso (secondo gli articoli 1113 e 1158 del codice della navigazione). Chiunque si sottragga al soccorso, in caso di incidente di mare, deve rispondere del reato di naufragio e omicidio colposi.
La guardia Costiera su questo punto è chiara ed esaustiva: «I servizi di ricerca e soccorso fanno affidamento su qualsiasi nave per qualsiasi ragione presente nell’area interessata (navi governative, incluse quelle militari, quelle mercantili, ivi compresi i pescherecci, il naviglio da diporto e le navi adibite a servizi speciali – quali sono ad esempio quelle utilizzate da alcune ONG per le loro finalità Sar di ricerca e salvataggio). In altre parole, su ogni nave che possa utilmente intervenire per il salvataggio delle vite umane in mare».

Secondo il diritto internazionale, le persone salvate devono essere condotte in un luogo sicuro ed è sempre il diritto internazionale a stabilire i criteri di sicurezza dell’approdo.
Per luogo sicuro si intende il porto di un Paese dove non vige la pena di morte, dove nessuno può essere perseguitato per ragioni politiche, etniche o religiose, dove siano garantiti il cibo, l’alloggio, le cure mediche e il trasporto verso una destinazione finale.
Non sono quindi porti sicuri quelli di molti dei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Altri porti che sarebbero sicuri restano chiusi per scelte politiche. L’Italia fino ad oggi, con grande difficoltà e senza sostanziali aiuti europei, ha saputo garantire non uno ma molti porti sicuri e quindi vita, futuro, speranza.

E allora Viva l’Italia, l’Italia se resiste.
Se resiste all’ondata polemica sulla “questione migranti”, alla superficialità di certi slogan, alla lite per la lite, allo sfruttamento dell’ignoranza e della paura, alla lettura scorretta dei numeri.

Viva l’Italia, l’Italia se non ha paura.
Se non ha paura di spendersi per una vita straniera, di sostenere le situazioni difficili, di venire a capo delle ragioni dell’odio, di governare con competenza i flussi umanitari.

Viva l’Italia, l’Italia se non muore.
Se riuscirà a mantenere viva la parola “Umanità” nel suo lessico fondamentale.

di Daniela Baroncini

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