Surrender. L’Europa vista dagli occhialetti di Bono

L’Occidente, soprattutto l’Europa, vive una fase critica, catastrofica della sua storia.

La grande civiltà europea entra nello stadio terminale di un processo di fine apertosi da secoli, e ben visto e annunciato ai suoi albori da grandi figure come Friedrich Hölderlin, John Keats, Giacomo Leopardi.

La rivoluzione tecnologica ha corroso i linguaggi europei, lasciando le società del vecchio continente regredire in un’involuzione che le ha sradicate dalle proprie radici, che oggi, osservando l’attualità, sembra come se non fossero mai esistite.

Abbiamo dimenticato le nostre radici, ci siamo conformati ad una cultura svilente, egoistica, piccola, che ci ha fiaccato, isolato, ha messo al centro delle nostre esistenze il denaro e il potere dell’ego, ha ridotto le grandi tradizioni sapienziali e spirituali a macchiette e meme, e già da tempo i pensatori più profondi ci fanno con i loro studi capire che abbiamo chiaramente finito la benzina, che siamo un albero ormai secco e isterilito.

Pensare, in tutto questo, che soltanto la Nigeria, secondo recenti stime, entro il 2050 avrà lo stesso numero di abitanti degli Stati Uniti, mentre le società europee, soprattutto quella italiana, vivono un decennale inverno demografico che non accenna a diminuire – e che non diminuirà, perché la cultura nichilista, economicista e riduzionista con cui i governi lo affrontano non farà che alimentarlo, mentre, all’orizzonte, si staglia, si compatta e prende coscienza di sé quella che nei prossimi decenni sarà la reale opposizione all’attuale sistema politico e al suo teatrino oramai del tutto omologato: un’opposizione intrisa di uno spiritualismo, di un messianismo, di un “gurismo” che promette non violenza ed equanimità con occhi gonfi di narcisismo ed ira che personalmente mi fa sempre meno ridere e inizia a spaventarmi, – significa iniziare a capire che la civiltà europea non si sta solo trasformando ma sta finendo, sta morendo.

È ormai del tutto esaurita, cioè, quella civiltà nata dalle macerie di Roma, formatasi sulla cultura latina, greca, cristiana – poi secolarizzata – e sviluppatasi a partire dalle enormi migrazioni di popoli avvenute tra il III ed il V secolo d.C., quando le più vitali popolazioni germaniche si mischiarono a quelle europee in forte decadenza, dando vita alle nostre attuali popolazioni europee per come le conosciamo.    

A me pare, parlo in grande umiltà, che noi viviamo una fase molto simile a quella che visse l’Europa del tardo impero romano tra III e V secolo d.C., è evidente che siamo appena agli inizi di una fase migratoria di proporzioni impressionanti, che l’Europa dovrà per forza di cose imparare a mediare ed amministrare, venendone trasformata radicalmente.

Tra 300 anni, cioè, ci sarà un’Europa radicalmente diversa, trasformata, le cui società saranno profondamente diverse rispetto a quelle di oggi.

La domanda capitale, nel guardare a tutto questo processo, a mio modo di vedere è e deve essere: che ne sarà, nel contesto di questa trasformazione, della cultura Europea, che da decenni viene erosa e sempre più dimenticata da una rivoluzione tecnologica che assottiglia le nostre lingue sempre di più e che tende ad allontanarla a distanze siderali dalla vita delle persone, soprattutto dei più giovani?

Se è vero infatti che l’Europa muore, è altrettanto vero che l’Archetipo fondativo della nostra cultura e della nostra civiltà ci dice chiaramente che la Morte è soltanto un Inizio, e che ogni Morte può essere trasformata in un passaggio di rinascita.

È vero dunque che l’Europa muore, ma muore per rinascere, e questa rinascita europea, ne sono convinto, può essere la chiave di volta per superare in modo evolutivo l’intera crisi planetaria in cui ci troviamo, e per accompagnare il dominio sempre più acclarato della Tecnica con un umanesimo nuovo, radicale e credibile, che davanti ad essa tenga botta e la regoli, la umanizzi, la temperi, la illumini, la guidi.

Su questo sfondo più generale, la figura di Bono, la parabola sua e degli U2, mi paiono uniche, significative, interessanti ed arricchenti, sia per quello che possono darci sia per quello che non possono.

Bono, di cui è appena uscita l’autobiografia intitolata “Surrender”, motivo della sua partecipazione al programma di Fazio Che tempo che fa, ha sempre parlato degli U2, soprattutto ai loro folgoranti inizi, dicendo “non siamo la solita band”, ed effettivamente è impossibile dargli torto, perché il primo decennio di carriera degli U2 è stato sinceramente folgorante, è stato forse tra gli ultimi autentici lampi di radicale poesia e ribellione prodotti dal Rock prima di diventare sostanzialmente il cagnolino agghindato e glamour del Sistema che era nato per cambiare.

Bono, gli U2, la faccia e la pelle nell’annoso conflitto della loro Irlanda l’hanno rischiata per davvero, prendendo posizioni scomode, denunciando il terrorismo e la violenza in un momento in cui si rischiava la vita sul serio nel farlo. Bono, gli U2, hanno sul serio creato un movimento umanitario impressionante per combattere la povertà in Africa e per combattere l’HIV-Aids, ed hanno fatto tutto questo riagganciandosi in modo unico, nuovo, creativo, ai grandi polmoni millenari della civiltà irlandese, cristiana, umanistica, europea, e questa loro testimonianza unica e preziosa resta, rimane nonostante tutto, e per le sfide che collettivamente abbiamo di fronte resta un contributo prezioso, che risalta in tutta la sua potenzialità all’interno della voluminosa autobiografia del leader della band.

Il primo decennio di carriera degli U2 ha proiettato la band di Dublino ad un livello stellare, ed ha fatto salire l’aspettativa nei confronti del gruppo ad un livello che, alla lunga e a detta del gruppo stesso, si è rivelato insostenibile. Un’aspettativa così grande non poteva che essere almeno in parte disattesa, e così, nei decenni successivi, la band irlandese non ha dato, in termini di impatto politico, sociale, culturale, in termini di musica e di qualità dei lavori usciti, tutto quello che prometteva di dare, vivendo decenni di lento e fisiologico “calo normalizzante” se si pensa ai livelli degli esordi.

Tuttavia gli U2 hanno continuato, continuano ad essere, a mio avviso, non la solita band.

Continuano ad avere fiammate importanti, come l’iniziativa di prendere un aereo e andare a suonare sotto la metro di Kiev, a guerra appena iniziata, una scelta non banale ed un’esibizione quasi surreale per realizzare la quale di coraggio bisogna averne da vendere.

L’autobiografia di Bono, appena uscita in tutto il mondo, in un momento così delicato e di crisi globale, ci parla. Ci racconta la storia di un artista, di un cantante, di un leader che, certamente non scevro da ombre come nessuno lo è, è stato capace di attingere in modo creativo e nuovo ai millenni di cultura irlandese, europea, cristiana, per riattualizzarli nel nostro tempo con una forza, un impatto, modalità che, davanti alla crisi che viviamo, non cessano di essere una preziosa testimonianza.

Giacomo Fagiolini

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