Disobbedienza civile nonviolenta
La protesta, per essere pacifica, deve per forza divenire “disobbedienza civile”, in tutte le sue forme, sia plateale o scenografica. Importante è che l’atto di disobbedienza finisca in prima pagina, attiri l’attenzione, richiami la politica sul tema proposto. Spesso gli atti di “disobbedienza civile” pacifica, vengono condannati, esecrati, da coloro che sono, spesso, i responsabili del danno causato e che l’atto vuole portare al centro dell’attenzione.
Sul gesto degli attivisti di Ultima generazione che hanno “imbrattato” con vernice lavabile l’ingresso di Palazzo Madama, non possiamo condividere sia nelle motivazione che nel gesto, essendo esso pacifico. Deve essere letto come un atto di “disobbedienza civile nonviolenta” dentro al quale s’inquadra l’azione specifica: “Alla base del gesto, la disperazione che deriva dal susseguirsi di statistiche e dati sempre più allarmanti sul collasso eco-climatico, ormai già iniziato, e il disinteresse del mondo politico di fronte a quello che si prospetta come il più grande genocidio della storia dell’umanità”. Scrive Pasquale Pugliese su Volere la luna riprendendo il comunicato web di Ultima generazione.
“Ho scelto e continuerò a scegliere di compiere azioni di disobbedienza civile nonviolenta perché sono disperata. Ovunque guardi vedo dissociazione, negazione, alienazione, rispetto alla crisi climatica…Non possiamo illuderci che fare la raccolta differenziata e partecipare a cortei organizzati sia sufficiente. È, di conseguenza, proprio al governo e alle istituzioni che rivolgiamo la nostra rabbia”.
La disobbedienza civile nonviolenta, usata come arma di ribellione, che riattivi le coscienze assopite dal torpore mediatico, dall’uso insensato dei social, dalla pubblicità esasperante e dal consumismo sfrenato, è un atto che è sempre stato usato per costringere la politica, i governi, a discutere di questioni che altrimenti rimarrebbero nel dimenticatoio. Basti pensare alla teoria e alla pratica di Henry David Thoureau, Hannah Arendt, Martin Luther King, Gene Sharp, Judith Butler, in America. Oppure a Danilo Dolci, Aldo Capitini, Pietro Pinna, Marco Pannella, per ricordare il più noti in Italia.
Hannah Arendt scrive nel saggio “La disobbedienza civile”: la disobbedienza civile insorge quando un numero significativo di cittadini si convince che i canali consueti del cambiamento non funzionano più, che non viene dato ascolto né seguito alle loro rimostranze”. Oppure che il Governo sia “ormai avviato verso una condotta dubbia in termini di costituzionalità e legalità…In altre parole la disobbedienza civile può essere posta a servizio di un cambiamento auspicabile è necessario o di un altrettanto auspicabile mantenimento e ripristino dello status quo…In nessuno dei due casi la disobbedienza civile può essere equiparata alla disobbedienza criminale”.
Questo è il punto! Gli atti, di disobbedienza civile nonviolenta compiti dagli attivisti di Ultima generazione, non possono essere equiparati ad atti di disobbedienza criminale, come, al contrario, stanno facendo i media governativi, le forze politiche di entrambi gli schieramenti e tanti altri con motivazioni reazionarie e banali, eludendo il vero nocciolo della questione: il dramma eco-climatico.
Ultima generazione, con le sue azioni, nonviolente, pacifiche, mettono in campo una strategia comunicativa che entra nelle case e costringe a vedere cose che altrimenti verrebbero nascoste, o occultate. Nel caos delle troppe trasmissioni inutili, delle televisioni di Stato e commerciali, il leitmotiv è la criminalizzazione delle azioni degli attivisti di Ultima generazione, mentre sappiamo che le loro gesta sono di “disobbedienza civile nonviolenta”, perché “il mezzo sta al fine come il seme sta all’albero” come scriveva Gandhi.
Claudio Caldarelli – Eligio Scatolini