Il nuovo Michelangelo
A 24 anni alla 54a edizione della Biennale di Venezia ha esposto il busto in marmo di Papa Benedetto XVI, che gli è valso la Medaglia Pontificia, e quando il Papa nel 2013 annunciò le sue dimissioni, l’opera fu spogliata degli abiti papali prendendo il nome di Habemus Hominem. Il nome del giovane scultore è Jacopo Cardillo, in arte Jago.
Nella prima fase della sua carriera, quando non aveva abbastanza denaro per comprare il marmo, si recava in un fiume e recuperava dei sassi. “Ho riconosciuto che il fiume era stato scultore a sua volta. Mi sono chiesto quanto valesse il mio intervento su qualcosa che era già stato scolpito e lavorato. Ho deciso dunque di lasciare al sasso una memoria”. Questa è la nascita delle “opere all’interno dei sassi” come scheletro, in cui mettendo tutte le fette una affianco all’altra si ricompone il sasso naturale.
Viene anche definito come “il nuovo Michelangelo”, che ha riportato in vita la scultura nel moderno ventunesimo secolo. Le opere di Jago, fedeli alle tecniche del Rinascimento italiano, comunicano davvero con il tempo che abitano. “Per scolpire qualcosa bisogna prima romperla”, dice Jago. “Camminando tra le mie opere esposte riconosco anche i miei fallimenti, che sono come le cadute che un bambino deve affrontare per imparare a camminare”.
Napoli, una mattina del novembre 2020, osserva un’opera che raffigura chi non ha voce. Compare a Piazza Plebiscito un bambino in posizione fetale è rappresentazione delle catene della marginalità. Si tratta di Look down, guardare in basso.
“Immaginarsi centrale in mezzo a una piazza è qualcosa di incredibile. A Piazza Barberini a Roma, dove oggi c’è la Fontana del Tritone, un tempo non c’era nulla, se non la campagna. In questo senso, fare scultura significa cambiare le dinamiche di un luogo: diventare simbolo per un contesto e generare attorno il contesto stesso”.
Le opere di Jago hanno una casa, quella in cui “si scolpisce l’umanità”.
Jago dice, “Se dovessi racchiudere in una sola parola quello che sento per Napoli, parlerei di innamoramento. Analizzare il motivo per cui ho deciso di aprire il mio museo qui sarebbe un tradimento terribile.
L’innamoramento è follia, tradurlo significherebbe banalizzarlo. Innamorarsi di un luogo significa renderlo moltiplicatore di qualcosa di sconosciuto. Questo avviene sia nella dimensione delle ombre, sia in quella delle luci. Poi c’è la dimensione del mistero, e quella va protetta. E io difendo questa città”.
Ed infatti, il giovane scultore Jacopo Cardillo all’ingresso del Borgo dei Vergini, nella chiesa di Sant’Aspreno ai Crociferi, dedicata al primo vescovo della città e ricostruita nel XVIII secolo, ha aperto il primo museo dedicato alle sue opere.
Aurora Ercoli