La gentilezza della sottomissione

Anche Yorgos Lanthimos, come molti altri grandi registi, ha trovato la sua attrice feticcio, ossia la figura, la recitazione, l’evocazione esistenziale che più lo rappresenta. È Emma Stone. Dopo il travolgente successo di Poor Things!, Povere Creature!, il regista greco la ripropone quale protagonista assoluta anche in questa sua ultima opera, Kinds of Kindness. Dallo quello stesso cast, però, attinge anche Willem Dafoe e Margaret Qualley. In più inserisce Jesse Plemons, Hong Chau, Mamudu Atie, tra le figure principali. Attrici e attori che interpretano più ruoli, dato che si tratta di un film a tre lunghi episodi. Il primo con perno il lavoro, il secondo la famiglia, il terzo la fede. Ma il tema dominante prevalente è lo stesso: la sottomissione. I Tipi di gentilezza, ossia la traduzione del titolo, ricorrenti nei tre episodi, sembrerebbero, infatti, spietatamente riconducibili proprio a quello principale dell’assoggettamento.

I tre racconti si rifanno un pò allo stile di quelli nella serie televisiva del 1955 Alfred Hitchcock presenta. Finali a rovesciamento ironico-paradossale,  qui non sul piano giallistico-poliziesco, ma su quello della surrealtà.  Le tre narrazioni, inoltre, a dimostrazione della loro unità di fondo, riprendono la tecnica soprattutto musicale della variazione sul tema. Inversione, intreccio, diversificazione ritmica o armonica dello stesso materiale musicale. Nelle tre vicende, infatti, ricorrono situazioni e persino oggetti simili tra loro. L’ospedale, il cibo, la gravidanza, le prove impossibili, i corteggiamenti, l’auto umiliazione e l’automutilazione fisica. Persino le auto. La Bmw colore blue notte, e persino la berlina beige del primo episodio che nel secondo vediamo in versione pick-up, ma della stessa forma e colore. Il morto dei tre episodi è sempre lo stesso. E nel breve epilogo finale si mostra vivo mentre mangia un hamburger e s’impiastra la camicia bianca di ketchup, proprio come nel vecchio cinema si usava il pomodoro per simulare il sangue.

Tornato al suo vecchio sceneggiatore Efthimis Filippou, il film è girato a New Orleans e dintorni, mentre si finiva di mixare proprio Poor Things!. Più che una movenza all’indietro rispetto a quest’ultimo, Kinds of Kindness, dunque, sembra un gesto interlocutorio, un impegno più leggero, rapido, quasi un rito di passaggio propiziatorio a una successiva opera più grandiosa e di maggior respiro spettacolare che certamente Lanthimos ha già in serbo. Anche il giudizio della critica si è diviso, con alcune significative stroncature. A nostro giudizio, Il film mostra invece il tocco inconfondibile  della grande maestria registica e autoriale,   pur considerandolo nella dimensione interlocutoria, di transizione sopra indicata.

Sul piano dei contenuti, quello della sottomissione resta un tema epocale cruciale, sul quale è bene non mollare. Rappresentando l’assoggettamento a un capo, a un’ossessione, a una setta di qualsiasi tipo e scopo, la subordinazione che ogni forma di potere persegue per auto proclamare il trionfo della propria forza fino all’intimo di ogni singolo inconscio. Fino a farne il segno dominante della nostra intera civiltà.

Riccardo Tavani