Cina una e bina

Il salto, il viaggio fatto da Giorgia Meloni in questi giorni a Pechino e Shangai va misurato con un altro grande salto storico. Nel 1582, a trent’anni, il gesuita Matteo Ricci sbarca a Macao per non abbandonare più il vasto territorio cinese. Scompare, infatti, un’altra trentina di anni dopo, a Pechino esattamente l’11 maggio 1610. Matematico, geografo, cartografo, astronomo, letterato, mente di sconfinata apertura e cultura, lascia un segno meno appariscente, ma molto più profondo di quello tramandato da Marco Polo. Lo lascia perché non solo diventa una delle persone più colte e apprezzate della stessa lingua e tradizione cinese, tanto da essere insignito del titolo di Studioso confuciano del Grande Occidente, con il nome di Lì Madòu ( iniziale del cognome Ri; Madòu suono più vicino al nome Matteo). Soprattutto, però, quello che i mandarini, gli eruditi della corte imperiale cercano avidamente e ricevono da Matteo Ricci è la conoscenza. Attraverso diversi libri scritti in cinese e il suo insegnamento porta la conoscenza della matematica euclidea, della scienza geografica e astronomica, rintracciando elementi comuni tra cristianesimo e confucianesimo. Compila anche un dizionario cinese-portoghese, perché la sua impresa nasce ed è sostenuta soprattutto in Portogallo. Per questo l’imperatore gli ha concesso ampia libertà religiosa, agiate condizioni di esistenza, e la facoltà di costruire una chiesa cattolica proprio a Pechino. Anche a questo è dovuto che in Cina ci sia oggi una consistente minoranza cattolica di circa 16 milioni di persone.

La Presidente del Consiglio ha ricordato Matteo Ricci e Marco Polo, anche perché a quest’ultimo – nel settecentesimo anno della sua scomparsa – è dedicata una mostra al China World Museum of Pechino, in cui compare anche la figura del gesuita italiano. E il salto, richiamato all’inizio, sta proprio nel fatto che circa quattro secoli e mezzo fa Matteo Ricci recava conoscenze lì inedite e per questo riceveva sostegni e onori, rimanendo ben viva la sua memoria. Oggi, invece, siamo noi ad andare in cerca di conoscenze scientifiche e tecnologiche, dalle automobili elettriche all’Intelligenza Artificiale. Siamo andati in cerca, ma non certo ancora ottenute. Gli incontri pur al vertice istituzionale di Georgia Meloni, infatti, hanno più configurato un’area di reciproci interessi da sviluppare ed eventualmente concretizzare nei prossimi, non già concreti accordi operativi firmati e da mettere in lavorazione. Anche dei colloqui sulle più scottanti vicende politiche e belliche internazionali, cui ha riferito ai giornalisti italiani Meloni, il comunicato stampa finale cinese non fa neanche mezza riga di riferimento. La millenaria diplomazia cinese è sempre una e bina. Ascolta silenziosa e muta risponde.

Anche perché proprio la Presidente del Consiglio, quando era all’opposizione, si è battuta ferocemente contro la cosiddetta Nuova Via della Seta, che in realtà si chiama Belt and Road Iniziative (BRI), e di cui ci siamo a suo tempo occupati (Numero 05/2019). Si tratta grandioso progetto economico e tecnoscientifico e digitale che dovrebbe percorrere tutto il mondo, lanciato proprio dal Presidente cinese Xi Jinping. Dapprima sottoscritto dall’Italia, poi disdetto da Draghi, anche grazie al contributo battente di quell’opposizione. E oggi si va lì a fare un salto, tentando una circense capriola riparativa. Spettacolo cui la Cina non nega cortese e paludata attenzione istituzionale, anzi! Lasciando però che sia l’ospite ad accendere il fuoco sotto il pentolone di brodo in cui poco alla volta lui dovrà cuocersi, per vedere col tempo cosa di saporoso o disgustoso ne viene fuori.

Pure perché siamo una parte non certo preponderante di un’Europa frazionata di singole patrie, con specifici interessi e indirizzi economico-politici, secondo il volere di quello stesso sovranismo nazionale, rappresentato dal governo Meloni e suoi vari alleati continentali. Questo da una parte infastidisce la Cina, per la quale è ontologicamente inconcepibile tale frazionamento di un continente; dall’altra ne prende freddamente atto e non può che condurla a muovere a proprio vantaggio, uno contro l’altro tali contrastanti interessi e concorrenze nazionali. Per questo deve essere almeno chiaro che non si può giocare col mastodonte asiatico come il Gatto con gli stivali con l’Orco della favola.

Dal confucianesimo al comunismo, al turbo-capitalismo iper repressivo di partito e di Stato, le visioni e le movenze della Cina sono sempre quelle del lungo periodo, dell’impero e del suo vasto spazio geografico e politico. I duemila delegati del Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese sono oggi tutti laureati in ingegneria o materie scientifiche e tecnologiche. La respirazione una e bina, unica ma doppia del suo passo è questa: tecno-modernista e dinastico-confuciana. 

Riccardo Tavani