Il tribunale della Terra contro tutti i potenti sulla Terra

Il filosofo tedesco Theodor W. Adorno scolpì questa frase shock nel 1949: “Scrivere una poesia dopo Auschwitz è un atto di barbarie”. Una frase che risuona come uno sparo ancora oggi, nonostante l’autore ne abbia attenuato in seguito la dirompenza. Intendeva dire che i campi di sterminio avevano rappresentato il baratro di un’intera civiltà. Quella occidentale. Della sua politica, democrazia, economia, scienza, tecnica, filosofia, arte, poesia. Nessun’altra sua grande o piccola caratterizzante attività umana esclusa. Dobbiamo prendere atto che oggi un altro sterminio, genocidio è in atto. Quello contro l’intero pianeta che abitiamo e che ci sostenta. Un’estrazione, un’aggressione delle sue viscere di inaudita, mai sperimentata prima potenza tecnica e scientifica. Continuare a denotare positivamente il termine ’umano’ in contrapposizione al negativo ’disumano’ comincia davvero ad assumere il carattere insieme di barbarie e di putrida ipocrisia. Non possiamo usare il prefisso linguistico dis-, davanti a umano, quale alibi assolutorio di un ideale ormai sempre più astratto e falso di umanità. L’autentico volto dell’umano è proprio ciò che chiamiamo disumano. L’umano e il disumano, infatti, costituiscono un unico mostro bicefalo, forse proprio quel mortale dalla doppia testa, da cui ci metteva in guardia Parmenide agli albori del pensiero filosofico e della civiltà greca.

Non l’umanità abbiamo innanzitutto da salvare, perché essa si è ormai incontrovertibilmente manifestata come volontà, delirio di potenza e onnipotenza. Contro ogni speranza, anzi illusione. Ci resta, invece, da uscire dal solco della separatezza scavato, e sempre più approfondito nella storia umana, e tornare all’originario essere parte, ossia l’ap-parte-nere  del respiro e del pensiero alla totalità naturale-esistenziale. Essere parola, sguardo, visione, testimonianza, predicazione logica di giustizia di questo inscindibile insieme e non più dello schizo soggetto, progetto uomo contrapposto a un oggetto mondo da dominare, manipolare, trasformare, deturpare, sventrare violentemente. 

I capintesta dalla doppia testa dei governi mondiali si stanno riunendo in questi giorni tra Roma e Glasgow per vedere come salvare non direttamente la Terra, ma i termini della loro razzia, attenuandone la brutalità per non fare loro superare l’orlo della catastrofe, illudendosi o mentendo spudoratamente sul fatto che questo sia ancora possibile.

Dunque ugualmente illusione sarebbe pretendere di giudicarli, di giudicarci, seduti dietro gli scranni del tribunale della storia, perché dentro la storia ci siamo tutti. Anzi direttamente la storia siamo noi, secondo quella celebre canzone di Francesco De Gregori. Siamo tutti – individualmente e collettivamente – mossi da magnifiche volontà di potenza e progressive. Il tribunale della storia non emette ormai più sentenze, ma se le fabbrica, per poi demolirle e ricostruirle ex novo. Al pari della scienza, la quale non cerca più verità universali, ma determina essa quelle protocollari cui via via attenersi, ma solo transitoriamente.

Non al capezzale di cura della Grande Madre malata, ma nel suo tribunale c’è l’assoluzione, nel senso della soluzione, dello scioglimento. Solo se ci sciogliamo, infatti, dalla follia di dominio che come umani incessantemente ci incatena a spossessare il mondo, si manifesterà in noi una diversa coscienza, percezione. Quella della Terra stessa che mentre subisce la condanna che le infliggiamo ci mette davanti allo specchio della nostra di condanna. Solo se è innanzitutto quello trascendente l’intera tecnica e poesia della civiltà, lo scioglimento apparirà anche come soluzione, assoluzione.

di Riccardo Tavani

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