La vita accanto all’innocenza
L’innocenza. Un diverso e apprezzabile KorEda. Nella scuola di una città di provincia giapponese accadono piccoli incidenti che allarmano la madre del bambino protagonista. Presto, però, è tutto il corpo docenti e la preside a restare disorientati, mentre qualche studente si dà a manifestazioni di bullismo. Solo lateralmente il centro narrativo è la (non) famiglia e, più centralmente quella grande, problematica famiglia che è oggi la scuola. Tanto che alle prime movenze sembra quasi La sala professori, in salsa orientale. Il film di Hirokazu KorEda, invece, invece, attinge — nella forma narrativa e nel contenuto di verità — a un classico del cinema nipponico: Rashomon di Akira Kurosawa, 1950. Questo lo rende inevitabilmente diverso da tutta la sua precedente produzione. A me sembra, però che, andando oltre la famiglia, si vada anche oltre la scuola. Perché se qui si verifica la prima acuta deformazione dell’innocenza impersonata dall’infanzia, è anche vero che esiste un’innocenza originaria che giace sull’intero piano dell’esistenza. E consapevolmente o meno, regista e sceneggiatore, è questa sponda di senso più universale che si finisce di lambire. Con un finale a doppio esito. Proprio perché non solo la (non) famiglia e la scuola, ma è la Terra stessa a non essere isolata nel suo più autentico significato della realtà. Titolo originale: Monster, Mostro.
La vita accanto. Non convince tutti, a me si. La felicità e la vita agiata di un affermato medico e di sua moglie è scossa proprio dall’evento che più attendevano: la nascita della loro prima figlia Rebecca. È soprattutto la zia Erminia, acclamata pianista vicentina, a fare fronte a tale evento. Si percepisce la cifra stilistica e la mano registica di Marco Bellocchio che ha voluto, scritto e prodotto il film. Si sente che avrebbe dovuto girarlo direttamente lui, ma alla sua età non può più stare dietro a tutta la vulcanica molteplicità dei suoi progetti. Dà così giustamente spazio ad altri registi che lui stima. È già successo con altri film, come Il signore delle formiche, nel 2022 di Gianni Amelio.
Ma il punctus-scena, massimamente cruciale, critico della vicenda deve aver spiazzato, disorientato il numeroso pubblico accorso all’anteprima nella Arena Garbatella di Roma, dove anche io l’ho visto. Un punctus, che incide come la punta di un oggetto acuminato, lascia un segno controverso nella sensibilità e nel pensiero. Non sempre la traslazione tra piano realistico e piano simbolico è immediatamente percepibile. Un piano, quest’ultimo, che per me assume invece il valore di realtà esistenziale che va molto oltre la storia narrata. E per questo pienamente valido e di valore narrativo e stilistico.
Non pienamente in linea con le sue grandi capacità, il ruolo di un bravissimo attore come Paolo Pierobon, emerge quello di Sonia Bergamasco, nella parte della zia Erminia. Non solo come attrice, ma anche come musicista ed eccellente pianista. Insieme a Beatrice Barison, nel ruolo di sua nipote Rebecca, firma la colonna sonora nei titoli di coda, come esecutrici dei difficili pezzi d’arte interpretati al piano. Tratto dall’omonimo romanzo di Mariapia Veladiano, Premio Calvino 2010.
Riccardo Tavani