America impero, Europa mistero
Il mondo intero segue con partecipazione tutte le fasi delle imminenti elezioni Usa, perché sanno che da esse dipende l’andamento delle relazioni e conflitti geopolitici planetari. Ossia, si dividono tra l’uno e l’altra candidata, ma sanno che chiunque vinca sarà sempre la voce dell’impero a levarsi da quelle due sponde oceaniche. Ma chi dall’esterno dell’Europa guarda alle sue vicende interne, anche elettorali, cosa ci capisce? Cosa è veramente in gioco? Mistero. Ed è un mistero persino per gli europei, e soprattutto per i loro governanti. Anch’essi, infatti, sono appesi alla suspence di chi a novembre detterà la linea, rispondendo all’altro capo della connessione telefonica atlantica: Harris o Tramp?
Anche se tutti gli imperi sono destinati a tramontare, a collassare sotto il peso della propria espansione, il loro declino è lento, secolare, perché riescono a trovare forme di adattamento anche sbalorditive. Come non constatare pensare che il passaggio dallo zarismo al comunismo sovietico, sia anche stato uno di questi adattamenti epocali. A fronte dello sgretolamento ormai inarrestabile dell’impero zarista, cosa garantiva meglio la continuità della forma imperiale su tutta l’immensa vastità russa se non proprio la centralità e l’unità ideologico-territoriale del comunismo staliniano? E l’avvento di Putin cosa è stato se non il tentativo di salvare ciò che restava dell’impero dopo le deflagrazioni nazionali seguite al Crollo del Muro di Berlino? E soprattutto di salvare l’unità del territorio atomico, ossia dell’arsenale di deterrenza nucleare, senza il quale un impero oggi sarebbe solo il fantasma di sé stesso. Cosa che Gorbaciov stava mettendo in discussione, concordando con l’impero americano un percorso di progressivo smaltimento degli ordigni atomici. Ancora di più la guerra mossa contro l’Ucraina, è un altro ostinato tentativo di preservare lo spazio esistenziale imperiale dalla crescente pressione d’accerchiamento occidentale.
Quella dell’Europa, d’altronde, non potrebbe mai essere una vocazione imperiale. Non lo è ab origine, dalla sua primigenia aurora nella Grecia antica. La sua configurazione è quella delle polis, delle Città Stato. Come quella di Atene, in cui si manifesta la prima forma di democrazia, sebbene limitata, escludendo donne e schiavi. Configurazione non imperiale, ma certamente coloniale. Fin da quelle origini, le colonie greche si sono estese dall’Asia alle acque, alle terre mediterranee, e all’Italia meridionale, come sappiamo. Configurazione che nei corsi dei secoli si è mantenuta, espandendosi in Stati nazionali e colonialismo vero e proprio in Africa, in Asia. Non che imperi continentali non si siano storicamente determinati. Primo tra tutti quello britannico, poi quello olandese, belga, francese, e i tentativi d’impero italiano e tedesco. E quello austrico, detto austro-ungarico, che era più un grande monarchia dell’Europa centrale e slava. Gli imperi europei, in ogni caso, sono tutti eclissati, pur rimanendo notevoli influenze mai completamente recise.
Oltre quello ridotto russo, rimangono due grandi imperi: quello americano e quello cinese. Entrambi non coloniali, ma tecno-economici. E ‘impero’ continua a voler dire ‘guerra’. Sia di conquista di aree di mercato, d’influenza strategica, di razzia di risorse, materie prime e sfruttamento, schiavizzazione lavorativa; sia di ribellione locale a tali imposizioni e spoliazioni. Se prima era l’impero sovietico a rappresentare, sostenere queste spinte anti imperiali americane nel terzo mondo, oggi a farlo sono le entità islamiche, fondamentalmente l’Iran.
L’Europa ha una popolazione di circa cinquecento milioni di persone, risorse economiche, tecno-scientifiche e culturali all’avanguardia in tutti i settori. Eppure, non riesce a costituirsi come grande polo di influenza e alternativa autonoma globale. Perché non riesce a costituirsi al suo interno. Resta divisa dentro. E non può essere diversamente. L’Europa, infatti, ha introdotto in sé e nel mondo la divisione dei saperi, evoluta poi in maniera sempre più esasperata in specializzazione e super specializzazione delle scienze e della cultura. Saperi, naturalmente, non fini a sé stessi, ma con concrete ricadute operative, politiche, amministrative, economiche, artistiche.
L’Europa è a sé stessa un mistero, perché non ne esiste una unica, ma ce ne sono tante quanti sono le arti, i mestieri, le professioni, le propensioni. L’Europa dei politici, degli scienziati, e per settori di scienza vari, degli economisti, degli informatici, dei sindacalisti, dei capitalisti, dei creativi, dei pubblicitari, dei giudici, dei poliziotti, degli scrittori, dei cineasti, delle popstar, ecc. Qual è tra queste l’Europa od oltre queste quella vera? Resta un mistero, appunto.
Eppure, i grandi pensatori greci originari erano menti che abbracciavano ogni aspetto della realtà, proprio nel tentativo di rintracciare l’archè, il principio di tutto, e poi di definire l’essere, il cosa e come è di ogni ente, di ogni cosa esistente, nella realtà e nel pensiero. E non è che nella sua storia successiva siano mancate altre grandi menti unificatrici della filosofia, della matematica, della scienza, della letteratura, dell’arte, come Leonardo da Vinci, Cartesio, Pascal e molti altri.
È a un atto post s-fondativo della divisione, o neo unificativo del pensiero che bisogna risalire perché in Europa torni a manifestarsi l’aurora della civiltà e il tramonto di ogni altro impero.
Riccardo Tavani