Tropico del Coprifuoco

Una volta l’anno – in un parallelo situato nell’emisfero boreale, ossia settentrionale del pianeta – il Sole tocca lo Zenith, il suo punto più vicino alla Terra. Tale parallelo è chiamato Tropico del Cancro e il giorno dell’anno in cui avviene simile congiunzione segna il solstizio di giugno, ossia l’inizio dell’estate nel Nord e – specularmente – l’inverno nel Sud del mondo. Quando, invece, lo stesso fenomeno accade nell’emisfero australe, il parallelo più meridionale del pianeta toccato dallo Zenith del Sole è il Tropico del Capricorno. Il solstizio di dicembre segna così l’inizio dell’estate nel Sud e l’inverno a Nord del mondo. Tropico del Cancro (1934) e Tropico del Capricorno (1939) sono anche i titoli di due celebri romanzi autobiografici dello scrittore americano Henry Miller. Ora, però, tanto la connotazione astronomica, quanto quella letteraria dei due Tropici rischia di essere travolta dentro quel Tropico del Coprifuoco che dall’Artico all’Antartico, dal Polo Sud al Polo Nord sta avvolgendo oceani, cieli, venti, suoli e sottosuoli di quell’unicum planetario universale chiamato Terra, o Gea.

Il Tropico del Coprifuoco è lo Zenith del fuoco, inteso sia in senso termico atmsferico, sia in senso bellico, che si avvicina a toccare ormai ogni parallelo terrestre. I paralleli geo-politici della carestia e della miseria umana già ne sono sconvolti. Milioni di persone in marcia sulla superficie del globo per scampare al mix di effetti incandescenti scagliati sulla loro pelle viva in questo solstizio, in questa infernale estate del Coprifuoco. Nessun muro potrà fermarli, per quanti miliardi di dollari e di euro in polizia e tecnologia vorremmo metterci dentro per erigerli e tenerli su. Questo perché le guerre nel mondo – con le matematiche migrazioni di massa che ne conseguono – si stanno sempre più svelando come legate all’aumento della temperatura media terrestre, ai mutamenti climatici e agli sconvolgimenti ambientali di vasti territori “fragili” ma preziosi in ogni parte del mondo.

La consapevolezza di questa non solo incombente ma già vasta e presente realtà è pressoché nulla a livello di massa, mentre la politica e i media continuano a privilegiare la superficie delle cose, e l’economia capitalista a mirare al profitto immediato a ogni costo. Si sono messi insieme due studiosi italiani, di due diversi discipline, per scendere a indagare analiticamente il sottosuolo del mondo, ossia la sua dimensione autentica, riemergendo con una massa impressionante di dati che hanno pubblicato in un agile volume dal titolo “Effetto serra effetto guerra”, edito da Chiarelettere. Sono Grammenos Mastrojeni e Antonello Pasini. Il primo è un diplomatico, docente ed esperto di questioni geo-strategiche, coordinatore di diversi progetti internazionali di cooperazione allo sviluppo. Il secondo è un fisico climatologo, docente, divulgatore scientifico, e vice-presidente della Società Italiana per le Scienze del Clima. Non tanto l’accurata messe di dati, quanto il loro intreccio sugli aspetti più critici di tutte le reciproche influenze – anche remote – dell’insieme dell’eco-sistema terrestre e della loro sempre più ricorrente, anzi sistematica presenza nei più irrisolvibili conflitti bellici nel mondo. Settantanove sono già i conflitti per i quali l’autorevole centro studi tedesco Adelphi, ha individuato cause climatiche. Tra questi quello in Siria. Nel coacervo di fattori politici, internazionali, tribali, religiosi che massacrano ancora quel territorio, gli studiosi individuano un preciso “tipping point”, ossia la goccia che fa traboccare il vaso. Esso è un evento climatico, legato all’aumento della temperatura, trasformatosi –– in catastrofe ambientale, sociale e infine bellica. “Un evento anomalo di siccità prolungata (dal 2007 al 2010) ha causato un pesante crollo della produttività agricola. Il risultato è stato l’esodo di circa un milione e mezzo di persone dalle campagne alle aree urbane che, non è un caso, in condizioni di pesante stress socio-economico hanno dato avvio alla rivolta”. Ad oggi due milioni e mezzo di siriani il loro, di cui oltre un milione sono minori, hanno lasciato il loro paese, mentre altri sei milioni e mezzo sono sfollati in condizioni tragiche dentro i confini nazionali.

I due studiosi spiegano con rigore scientifico ed estrema chiarezza letteraria come il nostro pianeta sia un mirabile intreccio ed equilibrio di fattori climatici profondamente legati tra loro, con reciproche influenze anche a distanze enormi. La fusione dei ghiacciai himalayani può ripercuotersi in Africa, così come l’acidificazione degli oceani, la desertificazione e salinizzazione progressive dei suoli si abbatte su popolazioni remote che su quel delicato equilibrio hanno il loro fragile confine di sussistenza agricola e alimentare. Dove l’uomo tocca la terra tende a “ucciderla”. Stiamo vivendo in modalità “overshoot”, ossia consumiamo più di quanto Gea riesce a riprodurre ambientalmente in un anno. Esattamente divoriamo 1,3 pianeti l’anno, e la Terra avrebbe bisogno di sedici mesi per rigenerarlo. Siamo ormai oltre i “confini planetari”, e abbiamo già dato vita a un “gemello planetario cattivo” attraverso il riscaldamento globale. Questo oggi, anzi: già ieri, mentre domani lo scenario sarà questo: “Nei prossimi quarant’anni la popolazione mondiale aumenterà di oltre 2 miliardi di persone, passando da 7 a 9,5 miliardi di persone, metà delle quali nasceranno in Nord Africa e in Medio Oriente. Di quanti pianeti da sbranare avremmo ancora bisogno? E quanti altri gemelli cattivi genereremo? E quanti muri potremmo realisticamente metterci intorno. Inoltre, Mastrojeni e Pasini, senza far appello ad alcun valore morale o etico-politico, ma sulla scorta di rigorosi calcoli puramente algebrico-economici, dimostrano che tali muri costerebbero molto di più di sostanziosi, razionali aiuti all’agricoltura, alle imprese, agli equilibri ambientali delle zone più critiche. E – soprattutto – con assai minori rischi bellici e fomentazione di radicalismi religiosi.

L’Italia è in prima linea, sul fronte più avanzato di questo Tropico del Coprifuoco climatico, migratorio e bellico. Dalle Alpi a Lampedusa la “latitanza” estiva dell’anticiclone delle Azzorre, ci scaraventa direttamente dentro la bocca del vulcano. Estati infuocate, con siccità prolungate a Sud e precipitazioni tanto improvvise quanto catastrofiche a Nord, mentre l’Europa – sconvolta nelle sue capitali dagli attacchi terroristici – ci lascia sempre più soli sul fronte della crescente pressione migratoria. Gli autori del libro partono però da una convinzione: dato che queste mutazioni dipendono dall’uomo – e non da fattori planetari e astronomici che ci travalicano – l’uomo può metterci fattivamente riparo, accompagnare al suo tramonto il Tropico del Coprifuoco. “Verum et factum convertuntur” scrive a metà del ‘700 il grande filosofo napoletano Giambattista Vico: il vero equivale a ciò che si fa. E l’uomo fa la storia, e in essa stanno la sua coscienza e conoscenza. Non solo: la coscienza di un tale tramonto rappresenterebbe una formidabile possibilità di ripensare e riprogettare l’intero sviluppo della storia politica e naturale umana prossima ventura.

di Riccardo Tavani